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 2011  giugno 25 Sabato calendario

L’INDIA DEI MILIONARI POVERA COME L’AFRICA

"Unità nella diversità" è il motto che descrive l’India e i suoi popoli, le 325 lingue e le religioni, i 28 Stati e sette territori. All’interno di questi, economie paragonabili a Singapore oppure ai più poveri tra gli Stati africani: qui ancora non soffia il vento che solleverà l’India tra le locomotive del mondo, o che ha costruito la fortuna di 153mila milionari, 12° Paese al mondo secondo il rapporto di Capgemini e Merrill Lynch Wealth Management.

Il sito online dell’Economist (Economist.com/content/indian-equivalents) ha costruito una mappa interattiva che accosta 32 Stati e territori dell’Unione indiana a Paesi con caratteristiche simili riguardo a popolazione, Pil e Pil pro capite, a parità di potere d’acquisto. Il Gujarat, a Ovest verso il Pakistan, confrontabile per popolazione all’Italia, per Prodotto interno lordo all’Angola, per Pil pro-capite al Congo-Brazzaville. L’esercizio dell’Economist mette il nome del Kashmir - eterno confronto con il Pakistan - accanto a quello delle Bahamas. L’Uttar Pradesh, a Nord vicino a Delhi, con gli stessi abitanti dell’intero Brasile, ha un’economia vicina alle dimensioni del Qatar (dove gli abitanti sono meno di due milioni) e un Pil pro-capite da Kenya. La stessa India, e non la stessa.

Nel suo insieme è la terza economia in Asia, dopo Cina e Giappone, ma la prova che il benessere stenti a raggiungere i suoi abitanti sta nell’accostamento degli Stati indiani più poveri ai più poveri tra i Paesi africani, dilaniati dalle guerre come l’Eritrea o dal sottosviluppo come il Benin. E anche le economie più ricche del Paese, come la zona di Delhi, riescono a confrontarsi soltanto con il Turkmenistan o la Namibia; il Rajasthan e le sue meraviglie è paragonabile al Sudan. Solo due Stati indiani, il Maharashtra di Mumbai e l’Uttar Pradesh, superano i 100 miliardi di dollari di Pil: in Cina sono 15 le province che fanno di meglio, e tre di loro superano i 500 miliardi. Così, su un’equivalente cartina preparata in febbraio dall’Economist per la Cina, appaiono i nomi di Paesi come la Svizzera o l’Indonesia, o come l’Arabia Saudita che si può paragonare a Shanghai per Pil pro capite.

Se il futuro è la speranza di un Paese che ha comunque una classe media più numerosa della popolazione degli Stati Uniti, che punta a tassi di crescita a due cifre e che in meno di 40 anni - calcolano gli analisti di Citigroup - supererà gli Usa per gli scambi commerciali, piazzandosi al secondo posto naturalmente dietro alla Cina, in questi mesi l’ottimismo sulle possibilità di crescita dell’India viene messo a dura prova. Da quello che Credit Suisse ha definito «horror show», un implacabile aumento dell’inflazione che si teme strutturale e che in maggio, su base annua, ha superato il 9 per cento. Per peggiorare le cose il Governo di Manmohan Singh è stato costretto a prendere ieri la decisione che avrebbe voluto rinviare all’infinito, l’aumento dei prezzi della benzina forzato dai rialzi globali. È necessario ridurre il carico dei sussidi: ma tra lotta ai prezzi e crescita la Banca centrale indiana ha già chiarito, sacrificherà la seconda.