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 2011  giugno 24 Venerdì calendario

«REPUBBLICA» DENUNCIA IL PARTITO DI «REPUBBLICA»

Non un giornale, ma un blocco di potere politico che si pone come alternativa ai partiti, punto di riferimento di un elettorato di centrosinistra il quale si percepisce come faro della moralità e della democrazia nel Paese. Questo è Repubblica, questo aveva in mente Eugenio Scalfari sin dalla fondazione. Ma se lo dice Libero, finisce che il ragionamento viene archiviato come maldicenza della macchina del fango. Più interessante è che lo dica Repubblica stessa, nella persona di uno dei suoi editorialisti. Stiamo parlando di Miguel Gotor, docente di Storia moderna a Torino, già firma del Sole 24Ore e da qualche tempo arruolato sulla prima pagina del quotidiano di Ezio Mauro in qualità di commentatore. Ieri la sua firma compariva a corredo di un ampio articolo sui rapporti dei servizi segreti riguardo il caso di Aldo Moro. Al leader democristiano sequestrato e ucciso dalle Brigate Rosse è dedicato il nuovo libro di Gotor, edito da Einaudi e intitolato Il memoriale della Repubblica.
Il Grande Timoniere
Tra i passaggi più interessanti del volume, però, ce ne sono alcuni che non riguardano direttamente l’affaire Moro ma risultano forse più importanti perché contribuiscono a spiegare il ruolo che Scalfari e la testata da lui fondata hanno avuto nella storia italiana. Il primo a notarli è stato Christian Rocca, che li ha riportati sul suo blog Camillo. In particolare, è rilevante un episodio che riguarda il memoriale dello statista. Accade che, il 5 ottobre del 1978, il cronista di Repubblica Giorgio Battistini e il generale dei Carabinieri Enrico Gavaligi si incontrino in gran segreto alla stazione Termini di Roma. L’alto ufficiale, stretto collaboratore del generale Dalla Chiesa, confida a Battistini alcuni particolari sul ritrovamento nel covo delle Br in via Monte Nevoso di varie pagine dattiloscritte attribuibili a Moro.
Ne scaturisce la pubblicazione di vari articoli, il cui tono è sempre il medesimo: rivelazione del misterioso contenuto del memoriale e lama alla gola delle autorità affinché venga reso pubblico il testo. Più interessante, però, è ciò che avviene poco dopo. Il 10 ottobre del ’78, spiega Gotor, Repubblica in prima pagina sfodera un pezzo che corregge la linea. «L’articolo, non firmato, parafrasava tra virgolette alcuni giudizi su personalità politiche e militari che poi ritroveremo nella versione dattiloscritta del memoriale divulgata dal governo il 17 ottobre».
Che cosa è successo? Perché il giornale di Barbapapà ha mutato la rotta, passando da un assalto contro il potere a far da sponda all’esecutivo? Lo spiega l’editorialista: «L’esigenza prioritaria non era solo quella di informare, ma anche di rassicurare l’opinione pubblica in accordo con il governo per continuare a puntellare ideologicamente i costoni del cosiddetto “partito della fermezza”».
Il cambio di rotta
Scalfari si stava comportando da politico, aveva deciso di supportare una corrente di pensiero e quindi subordinava il lavoro giornalistico a quello di indirizzo delle coscienze. Spiega ancora Gotor: «Gli anni della fondazione del quotidiano, quelli dello slogan di lancio del 1976 con cui la Repubblica si era presentato al pubblico italiano (“O credete alle versioni ufficiali, ai discorsi inaugurali, ai bilanci aziendali, alla televisione, a “loro” o credete a Repubblica”) alla
prova del fuoco apparivano improvvisamente lontani. O meglio, tutto ciò lasciava intuire come in Italia il legame tra potere e giornalismo fosse ben più saldo, militante e appassionato di quel che ingenuamente si crede, e riuscisse a miscelare in modo sapiente pubblico radicalismo e prudente flessibilità nei rapporti tra “noi” e “loro”».
Eccolo, il partito di Repubblica, incarnato nel legame saldo fra potere e giornalismo. A un certo punto, il Divo Eugenio comincia a sostenere che le carte di Moro siano la miglior prova a sostegno delle ragioni del partito della fermezza, e Gotor chiosa: «Oggi sappiamo che Scalfari sbagliava, nonostante egli fosse tra i pochi in Italia in quei giorni ad avere la consapevolezza dei problemi rappresentati da quelle carte, essendo al corrente delle affermazioni del generale Galvaligi». A prevalere, tuttavia, è «la volontà di piegare la realtà alla necessità, come egli scriveva, di “combattere una battaglia importante, una battaglia politica” contro il “partito della trattativa”», e questo «faceva premio su qualsiasi altra considerazione. Coerentemente, il direttore de la Repubblica spiegò in un’intervista che “il caso Moro e piú in generale il caso Brigate rosse rappresentò la vera fondazione del giornale”».
Azione precisa
Dunque Repubblica, dietro un radicalismo di facciata che propaganda la battaglia contro le trame oscure e i poterazzi, agisce in un modo ben preciso. Sentite Gotor: «Un giornalismo impegnato, non inteso però come contropotere informativo all’anglosassone, ma come antipolitico all’italiana, che avrebbe richiesto la strutturazione di un quotidiano robusto e originale da schierare nella lotta quotidiana per supplire alle presunte carenze dei partiti e per provare a stimolare la loro azione dall’esterno in nome e per conto di un pubblico di lettori persuaso di essere per definizione migliore dei suoi rappresentanti». La firma del giornale di Largo Fochetti ha inquadrato senza sbavature il ruolo della testata per cui scrive. Un quotidiano che agisce come contropotere politico, appunto, alla fine degli anni Settanta come oggi.
Allora era Scalfari a orchestrare le campagne, oggi il testimone è passato a Ezio Mauro. Il quale ha dato prova del suo desiderio di segnare la vita del Paese più volte nel corso degli ultimi mesi. Oltre alle furibonde campagne contro il presidente del Consiglio, ha agito con decisione pure su altri versanti. Per esempio, ha cullato i sogni di Gianfranco Fini di poter creare un partito di successo, salvo poi abbandonarlo al suo destino. Mauro ha pensato anche di regolare le sorti della sinistra, spingendo Roberto Saviano come leader morale e, chissà, un giorno forse persino politico della coalizione.Il tutto con la benedizione dell’ingegner Carlo De Benedetti, esempio di potere decisamente ostile al Cavaliere e interessato a disarcionarlo. Non è un caso che, proprio ieri, sia stato ufficializzato il passaggio di Saviano da Raitre a La7, l’emittente che De Benedetti potrebbe accaparrarsi con i denari sottratti a Berlusconi tramite passaggio in tribunale.
Intendiamoci: la partita che Repubblica gioca è sotto gli occhi di chiunque. La novità è che ora dovranno prenderne atto anche i moralmente superiori lettori del giornale di Mauro. In fondo, a smascherare il partito di Repubblica è un editorialista di Repubblica.