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 2011  giugno 24 Venerdì calendario

IN SCIOPERO 4MILA OPERAIE CINESI SONO EROINE, MERITANO IL NOBEL

Sabato prossimo, quando vi capiterà di ammirare una borsa Burberry o Coach da mille euro o più, nelle vetrine di corso Vittorio Emanuele a Milano o di via Condotti, rivolgete un pensiero, uno solo, ai ragazzi delle campagne cinesi emigrati a Guangzhou, una delle metropoli del boom industriale del Drago, per lavorare alla “Simone”, premiata ditta che, ad onta del nome, fa capo ad un’azienda coreana. La borsa che portate a tracolla è nata lì, in quella fabbrica dove 4 mila operai, per lo più donne (l’80 per cento degli occupati) lavorano dodici ore al giorno per una paga di 1.100 yuan, ovvero 110 dollari l’equivalente di 85 euro o giù di lì. Dodici ore in piedi, con il permesso di recarsi in bagno a far pipì ogni quattro ore. Ma non tutte fanno uso di questo “diritto”. In bagno rivela un’operaia, si rischia di fare brutti incontri: i guardiani, per lo più coreani, hanno il diritto di entrare nelle toilette a piacimento. E provate ad immaginare quel che capita lontano dalle linee di produzione.
Anche a Guangzhou, come è capitato alla Foxconn, la fabbrica degli iPad controllata da un miliardario di Taiwan, o allo stabilimento, stavolta di proprietà giapponese, della Citizen Watch di Dongguan, è scattata nei giorni scorsi la protesta operaia. Lunedì le operaie della “Simone” hanno incrociato le braccia per chiedere almeno 200 yuan di paga in più: venti dollari al mese, per far fronte al carovita. Meriterebbero il Nobel, anche perché per tutta risposta, le guardie della Simone, spalleggiate dalla polizia cittadina hanno usato le maniere forti: almeno due operaie sono state picchiate a sangue, come conferma il reportage di South China Morning Post, che già aveva avuto un ruolo decisivo nella denuncia delle condizioni di Foxcon, la fabbrica dei suicidi. L’informazione, del resto, è merce rara in un Paese in cui i dirigenti, come è accaduto alla Simone, possono requisire i cellulari e rinchiudere i lavoratori finché non abbassino di nuovo il capo. Cosa che le eroine di Ghanzhou non intendono fare. A dimostrazione che qualcosa, ormai, è cambiata anche nella grande Cina, Paese dove la democrazia resta un frutto proibito anche dopo il trionfo dell’economia di mercato.
Vent’anni fa, quando la Simone ha aperto i battenti nella terra del Drago la ciotola di riso nero (guasto) passata dalla direzione aziendale alle operaie poteva apparire una benedizione per i contadini stremati dalla Rivoluzione Culturale. Oggi, però, non è più così facile praticare lo sfruttamento indiscriminato come piace ai nuovi schiavisti. Per più ragioni. Primo, perché nel sud del Paese, dove è cresciuta l’economia cinese, la manodopera specializzata, all’altezza di eseguire lavorazioni più sofisticate a maggior valore aggiunto, è merce sempre più rara, al punto che gli imprenditori si sono piegati ad accettare, magari dopo grandi scioperi, aumenti nell’ordine del 20-30 per cento. Secondo, perché i cinsi del 2011 non sono più soldatini avviluppati nella divisa militare, bensì, almeno nella parte più avanzata del Paese, giovani che si affacciano alla società dei consumi. Enche guardano con una certa invidia l’esplosione della ricchezza: i milionari, in euro, sono ormai 535 mila. L’aspirazione a viver meglio cozza contro la mentalità di un Paese che ha vissuto violenze atroci, spesso smarrendo nei decenni passati il senso della civiltà. Il risultato è un conflitto che attraversa lo stesso partito comunista, che resta il primo imprendiotre del Paese. Decine di migliaia di quadri hanno fatto fortuna in questi anni, con mezzi leciti o non leciti. La banca centrale calcola che i capitali privati in fuga verso gli Usa ammontino
addirittura a 240 miliardi di dollari. Ma, negli ultimi anni, è cresciuta nel partito anche la voglia di far partecipare più cinesi ai frutti dell’innegabile crescita economica della superpotenza. L’obiettivo dei governanti di Pechino è di far crescere i consumi interni, anche per dipendere di meno dal cliente americano o dall’Europa. Ma per fare aumentare i consumi occorre che i lavoratori guadagnino di più. Ecco perché dai giornali di Hong Kong, ma anche dall’autorevole Canjin (il The Wall Street Journal locale), ogni tanto filtrano notizie scomode per le mafie locali ma che non dispiacciono ai gerachi dell’impero rosso. Ma questo nulla toglie al coraggio delle eroine della “Simone”, in piedi dodici ore al giorno senza un bicchier d’acqua. E la paura che ti prende anche quando vai a fare pipì.
Ugo Bertone