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 2011  giugno 25 Sabato calendario

COSI’ NACQUE MAC IL MOCCIOSO

Sono passati trent’anni. Il vecchio campo n.1 non esiste più, i punti dubbi li decide la moviola e John McEnroe è un tranquillo 52 enne che abbaia senza fare paura. Rimane l’eco della Frase.
“You cannot be serious!”, non puoi dirlo seriamente. La madre di tutte le proteste, un evergreen del sarcasmo, il mantra dell’ego sportivo che si ribella all’ingiustizia e che la Nike qualche anno fa ha sbattuto su una t-shirt. Uno slogan riusato in mille sketch e spot televisivi, il titolo dell’autobiografia di McEnroe e di una canzone. Una delle frasi che resteranno scalpellate per sempre nella storia dello sport accanto al «pungerò come un ape, volerò come una farfalla» di Ali. Se non bastasse, anche un grande pezzo di teatro.
Wimbledon, martedì 23 giugno 1981, Mac e Tom Gullikson sono in campo per un match di primo turno, 1-1 nel primo set, 15-40 servizio McEnroe. Un colpo di John atterra vicino alla linea alzando – forse - uno sbuffo di gesso. “Out!”. Gullikson si appoggia alla racchetta, Mac scatena l’inferno nel Tempio. Perché ha 22 anni e Borg l’anno prima lo ha battuto in una finale da leggenda. Perché è straconvinto che Wimbledon, che non ha mai vinto, gli appartenga per diritto divino. Perché è insopportabile, irritante, infantile, divino. Il «Supermoccioso» del tennis, secondo la stampa inglese. «A quel tempo pensavo di essere da solo contro il mondo», ha raccontato qualche giorno fa al Daily Mail McEnroe, che a Wimbledon commenta per la BBC. «Era uno scenario che mi ero costruito dentro la testa. Quella frase se la ricordano tutti, anche se l’ho pronunciata una sola volta nella mia vita. Mio padre si era raccomandato: se dici qualcosa all’arbitro non bestemmiare. Non pensavo che sarei finito nei guai».
Così Johnny si avvicinò a Edward James, il giudice di sedia, reo di non aver corretto la chiamata del giudice di linea. «Dai, non puoi essere serio! – sbraitò MacJesus, nella luce magnifica di quella radura magica addossata al Centre Court che era il Number 1. «La palla è dentro, si è alzato anche il gesso. Tutto lo stadio l’ha vista, come fai a chiamarla out? Voi giudici siete davvero la feccia del mondo!». E via una pallata al cielo, colpevole di non essere d’accordo con lui. James rimase impassibile. «Sto per assegnarle un punto di penalità, Mister McEnroe». E così fece, fra il brusio del pubblico.
McEnroe pretese l’intervento del giudice arbitro del torneo, l’occhialuto Fred Hoyles, che si rifiutò di annullare la penalità e si prese dell’« idiota incompetente» dal moccioso furibondo. L’Hawk-Eye, la moviola del tennis, è stata usata per la prima volta nel 2004, ma potete scommettere che McEnroe non si sarebbe fidato neppure di lei. Quel 23 giugno McEnroe continuò lo show spaccando racchette, beccandosi un altro punto di penalizzazione per «insulti all’arbitro» e 750 sterline di multa. Ma non fu squalificato, come invece gli sarebbe accaduto 9 anni più tardi agli Australian Open, quando coprì di insulti e diede del «capellone» al (calvo) giudice arbitro Peter Berrenger. Battè Gullikson 7-6 7-6 6-3 e il 4 di luglio finì per vincere il torneo, il primo dei suoi tre Wimbledon, in finale su Bjorn Borg. L’All England Club si rifiutò clamorosamente di nominarlo socio del Club, come vuole la tradizione, e Mac si vendicò disertando il ballo dei campioni. «Fosse stato il n.120 del mondo l’avrebbero buttato fuori, ma avevano paura di lui», racconta oggi Gullikson, che dopo la sconfitta in singolare si ritirò dal doppio per assistere la moglie incinta. «Hoyles mi disse che non ero infortunato e quindi avrebbe potuto squalificarmi. Gli risposi che anche io avrei potuto riferire alla stampa quello che gli aveva detto esattamente McEnroe sul n.1. “Fai un buon viaggio, Tom, e tanti auguri per tuo figlio”, mi disse allora Fred». Il mito di Mac il Moccioso era già nato.