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 2011  giugno 24 Venerdì calendario

I FASARI DELL’ARTE - PER COLPA DI ANDY WARHOL HA VINTO IL PLAGIO D´AUTORE - A

Parigi come a New York, un simile spiegamento di bandiere e di effigi è riservato ai capi di stato o al papa in visita. Ma l´artista Richard Prince, la cui celebrità non ha fatto che aumentare dai suoi lontani inizi negli anni settanta, conosce in questa retrospettiva di trent´anni di capolavori e di quotazioni in continuo rialzo il suo riconoscimento ufficiale come peso massimo dell´"Arte contemporanea" americana, dunque mondiale. L´Europa lo ha in effetti consacrato: una linea di borse Louis Vuitton si ispira alla sua serie intitolata Nurses. Era ora che New York lo festeggiasse, e la cerimonia è all´altezza del nuovo santo.
Un intero piano circolare di quella sorta di Torre di Babele che è il Guggenheim corrisponde all´immagine pubblicitaria ripetuta sulla Fifth Avenue. Immense fotografie, che hanno un´aria insistente di déjà vu su cartelloni pubblicitari lungo autostrade europee, declinano a colori, in diversi atteggiamenti e davanti a svariati paesaggi di foresta o di deserto, il giovane cow-boy Marlboro nel suo tipico abbigliamento, affiancato dal suo bel cavallo. La mia visita ha coinciso con una intervista lamentosa, pubblicata sul New York Times del 6 dicembre, di un fotografo commerciale, Jim Krantz, nativo di Chicago, che aveva scoperto alcuni giorni prima le bandiere pubblicitarie della Fifth Avenue e il piano "Marlboro" della retrospettiva Prince. La cosa lo aveva messo di pessimo umore. Non aveva fatto alcuna fatica a riconoscere in entrambi i casi dei cloni, riprodotti pari pari, di una campagna fotografica che aveva fatto nel 1990, in un ranch di Albany (Texas) per conto della famosa compagnia di sigarette e, adesso, di abiti casual. Era al corrente da un pezzo, ma vedere la cosa con i propri occhi gli ha provocato uno shock. Sapeva per esempio che uno dei cloni delle sue foto, firmato Richard Prince, aveva "fatto" un milione e duecentomila dollari a un´asta del 2005.
È un secolo che le avanguardie artistiche rovesciano carrettate di disprezzo sull´"imitazione" dei pittori e disegnatori antichi, sull´imitazione servile della natura, sull´imitazione scimmiesca dell´antico e dei maestri, miserabile abdicazione e schiavitù dell´Arte. Tanto orgoglio e tanta volontà di originalità assoluta hanno finito col portare impunemente alla glorificazione altezzosa della pura e semplice ricopiatura!
Con tutte le sue foto originali, Jim Krantz ha guadagnato assai meno di Richard Prince con uno solo dei cloni che l´"artista" ne ha ricavato. Ma il fotografo commerciale può sporgere denuncia? Il copyright dei suoi originali appartiene alla compagnia Marlboro, e Prince, anche prima di diventare famoso, aveva preso tutte le sue precauzioni giuridiche, ottenendo per i suoi cloni un copyright eccezionale di originali "decontestualizzati", giustificato dal suo "concetto" di artista: l´appropriazione di immagini bell´e fatte. Alle denunce di cui è stato fatto oggetto, ai processi che gli sono stati intentati, e che i suoi avvocati hanno vinti, ha sempre ribattuto che non riteneva che la sua materia prima, cioè le immagini pubblicitarie e commerciali, avesse degli "autori". Il peggio è che non ha del tutto torto.
A questo stadio di cinismo, la "riproducibilità meccanica delle opere d´arte", di cui si lamentava Walter Benjamin negli anni trenta, raggiunge proporzioni alla Borges che il filosofo non aveva previste, per la buona ragione che, come Baudelaire, non considerava la fotografia un´arte e non attribuiva alcuna aura a immagini "non fatte dalle mani dell´uomo" e, per definizione, riproducibili indefinitamente.
Senza l´intervista al Times, Krantz sarebbe rimasto anonimo, come lo sono rimasti gli oscuri autori di fumetti con cui Roy Lichtenstein e James Rosenquist, ingrandendone sulla tela alcuni particolari, hanno fatto il loro successo di artisti, prima che Warhol facesse loro lo sgambetto. Per Krantz un´uscita dall´anonimato vana quanto quella di cui credette di beneficiare, più di quarant´anni fa, il pittore espressionista astratto James Harvey. Dedicandosi per vivere al design commerciale, aveva ideato la scatola del detersivo Brillo. Questa scatola, in vendita in tutti i supermercati, una volta clonata su legno dalla Factory di Andy Warhol in esemplari firmati ed esposti in una galleria newyorchese, beneficiò nel 1967 di un secondo successo, parassita di quello che aveva conosciuto il suo originale, il prodotto di consumo diffuso in milioni di esemplari. Il successo pubblicitario di questo gioco di prestigio stupì il filosofo Arthur Danto, prima di convincerlo che un fatto così lampante meritasse di essere giustificato con una teoria, e lo indusse a scrivere un articolo e poi un libro, che hanno fatto epoca.
Ciò che fa la differenza fra una scatola Brillo e un´opera d´arte che consiste in una scatola Brillo è una certa teoria dell´arte. È la teoria che la fa entrare nel mondo dell´arte e le impedisce di ridursi a essere solo l´oggetto reale che essa è. Galleristi e critici-filosofi teorizzatori assicurano ormai la differenza di valore fra il prodotto di consumo banale e lo stesso prodotto, consacrato come opera d´"Arte contemporanea" dal fatto di essere esposto in una galleria che vende bene. Eliminati i criteri del gusto, del bello, del sublime, del capolavoro, dell´originale, del talento, del genio, della maestria sotto qualunque forma. Con Danto, i practical jokes di Duchamp sono diventati, grazie a una esegesi sapiente consecutiva alla valutazione commerciale, un sistema universale di legittimazione, di autorizzazione e di omologazione adatto a qualsiasi cosa, il che si confaceva meravigliosamente alla diversità delle culture e alla tolleranza delle idiosincrasie di cui New York ha preteso di essere la centrifuga.
L´astuto concetto di "appropriazione", che trasforma il ready-made secondo Marcel Duchamp in una predazione generale e sfrenata, da parte dell´"Arte pop", delle immagini della pop cultura commerciale e pubblicitaria americana, ha quindi ristabilito una gerarchia feudale feroce fra gli "artisti" clonatori, promessi alla gloria e al denaro, consacrati dal museo o dalla galleria malgrado i loro plagi da cuculi, e gli artigiani della macchina fotografica come Jim Krantz, rimasti nell´oscuro circuito del design pubblicitario, privi di un´immagine glamour e saccheggiati senza scrupoli dai compari dell´"Arte contemporanea".
La disavventura di James Harvey e di Jim Krantz era stata presagita, fin dal 1839, da Balzac, nel suo racconto Pierre Grassou, il cui protagonista è un pittore mediocre che sa solo copiare, con variazioni, e senza nemmeno rendersene conto (ma la cosa non è sfuggita al suo gallerista), la maniera di maestri celebri. Visitando la collezione di un ricco borghese che gli mostra e decanta i suoi Tiziano, i suoi Rubens, i suoi Gerrit Dou acquistati dallo stesso gallerista a un prezzo alto ma non troppo, Grassou, stupefatto, non può trattenersi dal dire al suo ospite: «Ma li ho fatti io tutti questi quadri! Non li ho venduti tutti per più di diecimila franchi!». Lungi dall´essere sconcertato o deluso, il collezionista raddoppia l´ammirazione per un pittore capace di riassumere tutti gli altri e gli dà la figlia in sposa. Non hanno lo stesso gallerista, lo stesso notaio, lo stesso avvocato?
Il Grassou di Balzac è un contemporaneo inconsapevole dell´"era della riproduzione meccanica", che stava appena cominciando. Il suo gallerista è scaltro per due. Trae vantaggio da un epigono, pittore che prende da altri pittori. Lo sfrutta, per raggirare a sua volta una clientela di pecoroni. È una escrescenza dell´arte. Ma l´arte, anche parassitata, c´è ancora. In pieno nell´epoca in cui la fotografia è divenuta regina, Richard Prince è assai più furbo.
L´autore di Bouvard e Pécuchet era pieno di compassione per i suoi patetici personaggi, vittime di un´epoca di piombo. Non esitava a identificarsi con quei poveretti. La "sociologia culturale" di Prince e dei suoi cloni sa in modo stridente di altezzoso disprezzo misto a un´attrazione morbosa per la teratologia di un immaginario di massa, che lui mette in evidenza e in vendita "di secondo grado", vera gallina dalle uova d´oro. Humbug, hoax! (impostura, mistificazione) mi sussurra all´orecchio la mia eccellente guida Barnum. New York non ha mai respinto i mistificatori che riescono a divertire il cliente e a fargli sborsare denaro.
(Traduzione di Fabrizio Ascari)