Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  giugno 24 Venerdì calendario

MA IL MERCATO PREMIA CHI FA GIOCO DI SQUADRA

Le cifre parlano chiaro: la moda italiana è tornata a crescere. Il fatturato complessivo del sistema è proiettato verso la vetta dei 65 miliardi di euro nel 2011, circa il 7% in più dei 60,7 miliardi raggiunti nel 2010 che rappresentavano a loro volta un balzo in avanti del 7,4% rispetto all´anno buio del 2009. La crisi globale del 2008 aveva infatti fatto precipitare il fatturato a 56,5 miliardi e ridotto le esportazioni del 18,9%, il tradizionale punto di forza delle aziende del made in Italy.
Tuttavia, a valle della considerazione che il sistema è tornato a crescere, occorre dire che la ripresa è trainata dai mercati emergenti, Cina, India, Brasile, Russia, i cosiddetti Bric, dove i consumi pro capire hanno conosciuto un forte incremento. Ma proprio per la natura geografica di questi nuovi fenomeni solo i grandi gruppi internazionalizzati e ben organizzati hanno saputo cogliere il momento favorevole. Il dato disaggregato dice che i primi 25 grandi gruppi della moda italiani fatturano circa 30 miliardi (inclusi però anche gioielli, profumi, occhiali) cioè la metà della torta complessiva, e nel 2010 questi stessi gruppi sono cresciuti dell´11,1%, secondo i numeri raccolti da Pambianco, consulente specializzato nel settore moda. Ciò vuol dire che le piccole e medie aziende, pur esse esportatrici, sono cresciute di pochi punti percentuali e fanno più fatica a superare le difficoltà della crisi. «Il mercato è andato bene nel 2010 e il trend di crescita è confermato anche quest´anno - spiega Carlo Pambianco - la chiave del successo è quella di rafforzare i marchi e investire sulla distribuzione, operazioni alla portata solo dei grandi gruppi».
Il problema dei grandi gruppi italiani è che non sono abbastanza grandi. Il pigliatutto della moda mondiale, monsieur Bernard Arnault, è riuscito in vent´anni a creare un colosso, Lvmh, da più di 20 miliardi di fatturato e sulla stessa strada, anche se con risultati più contenuti, si è mosso l´antagonista François Pinault, che con Ppr ha comprato la Gucci agli inizi degli anni Duemila sottraendola proprio agli appetiti di Lvmh. Il sudafricano Johann Rupert ha saputo mettere insieme i più famosi marchi della gioielleria nella svizzera Richemont ma nessuno dei grandi nomi italiani è riuscito a fare altrettanto. Armani ha sempre viaggiato in solitario e di ciò se ne fa un vanto, arrivando ad accusare i concorrenti di essere cresciuti grazie ai soldi delle banche; Prada ha tentato la strada del grande polo ma in un momento sbagliato (inizio 2000) e ora sta riequilibrando la posizione finanziaria con la quotazione alla Borsa di Hong Kong che gli ha assicurato una valutazione di 9 miliardi di euro; Bulgari ha venduto a Lvmh a caro prezzo, Tod´s sta crescendo a ottimi ritmi e con buoni profitti, lo stesso dicasi di Dolce & Gabbana, di Renzo Rosso della Diesel e di Zegna. Ma nessuno è riuscito a proporsi come elemento catalizzatore di vari brand del made in Italy, forse anche perché sono molto diversi tra loro e con personalità difficilmente compatibili.
È un bene o un male tutto ciò? Solo il tempo potrà dare una risposta. Certo è che ormai il tempo del "polo del lusso" sembra tramontato, forse oggi c´è un po´ di rammarico per quando Patrizio Bertelli aveva cercato un dialogo con Domenico De Sole, allora gran capo di Gucci che cercava di respingere l´attacco di Arnault. O per quando la stessa Gucci aveva la possibilità di acquisire una Versace in difficoltà. Oggi i grandi gruppi del made in Italy giocano in proprio pur essendo sempre più globali e basando le vendite sulla crescita senza sosta di cinesi e brasiliani. L´isolamento può anche essere la strada giusta per un Armani che avrà già bene in mente cosa ne sarà del gruppo dopo di lui. Ma la quotazione in Borsa a ben vedere può rappresentare la via giusta per risolvere intricati problemi di successione. È il ragionamento che hanno fatto i 70 componenti della famiglia Ferragamo, che tra pochi giorni vedranno la propria griffe esordire a Piazza Affari. È la via che ha scelto un imprenditore dalla vista lunga come Leonardo Del Vecchio, la cui principale preoccupazione da anni è che la sua Luxottica sopravviva con successo al fondatore. Ed è la via che potrebbe scegliere Renzo Rosso per offrire alla sua Diesel una dimensione ancora più significativa senza rinunciare alla creatività che l´ha contraddistinta finora. Nessuno ha la formula magica in mano ma tutti hanno buone carte da giocarsi nella speranza che i 65 miliardi di fatturato non vadano progressivamente verso la Francia o la Svizzera.