Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  giugno 23 Giovedì calendario

2 ARTICOLI - LE CARTE DEI SERVIZI SEGRETI - ERRORI, PISTE FALSE, INDAGINI APPROSSIMATIVE. EMERGONO DAI RAPPORTI DEGLI 007 CHE SEGUIRONO IL SEQUESTRO DEL LEADER DC. REPUBBLICA LI HA LETTI IN ANTEPRIMA

«Aldo Moro? L’hanno portato a Milano». Questo ipotizzavano i nostri servizi segreti all’indomani del sequestro dello statista dc. In quei giorni bui l’intelligence seguiva Franca Rame, sospettata di contiguità con le Brigate Rosse, pedinava l’avvocato Tina Lagostena Bassi mentre si recava in Cecoslovacchia, soprattutto era convinta che c’entrasse qualcosa Toni Negri. I sospetti sul leader dell’Autonomia erano tali, che furono acquisitii nomi dei suoi laureati, dal 1974 al 1978, alla facoltà di scienze politiche a Padova. Sono solo alcuni dei frammenti contenuti nelle migliaia di carte sul "rapimento ed assassinio" dello statista democristiano che la Presidenza del Consiglio ha consegnato all’Archivio Centrale dello Stato.
(segue dalla copertina) DALLA consultazione dei 56 fascicoli emerge uno spaccato sul disorientamento che colse gli 007 al momento della strage di via Fani - 16 marzo 1978 - e via via per tutta la durata del rapimento, culminato nell’uccisione di Moro, il 9 maggio successivo.
Moro? È a Milano I servizi ritengono che Moro sia sequestrato «nella zona di Milano», come rileva una nota del 17 marzo. Inseguono una pista giapponese: all’operazione «avrebbero partecipato due terroristi giapponesi Kasa Adachi e Harno Wako dell’Armata Rossa Giapponese. Quindi s’instradano lungo «la pista tedesca», seguendo le tracce del terrorista Wilhelm Piroch, «che dal marzo 1978 si trova in Italia insieme a Gabriella Hartwig, come segnala nostro elemento che sta a Monaco». Ai primi di aprile ritengono che possa fornire spunti Silvano Maistrello, detto Kocis, un latitante al quale si propone di collaborare contattando la moglie, Luigina Chiozzotto. Maistrello tergiversa, poi accetta, la moglie lo comunica agli agenti, ma Maistrello viene ucciso durante una rapina ad una banca nel Veneziano. Due mesi dopo l’assassinio spunterà pure il filone ungherese. «All’interrogatorio di Moro avrebbe assistito un medico ungherese che lavora a Firenze», sostengono il 17 luglio 1978.
Il ruolo dei Palestinesi Durante i 55 giorni del rapimento attivano l’Olp: «Un esponente a Roma ha assunto la responsabilità della ricerca informativa a favore del caso Moro». I palestinesi non vengono coinvolti a caso. Il 18 febbraio 1978 il Sismi aveva archiviato questo dispaccio: «Fonte ambiente Fplp (Fronte popolare per la liberazione della Palestina) ha seGli 007 pensarono anche a 2 terroristi giapponesi: Kasa Adachi e Harno Wako L’INCHIESTA gnalato possibilità in prossimo futuro operazione terroristica notevole portata in Europa da parte di elementi europei: potrebbe coinvolgere il nostro Paese». Ma è un tentativo infruttuoso: il 18 aprile l’Olp alza bandiera bianca. «Arafat respinge qualsiasi collusione con le Br o di recenti contattie prega d’informare le autorità italiane».
Il "postino" Freato Intanto escono le lettere di Moro. La loro pubblicazione viene bollata come «destabilizzante per il quadro politico». I servizi temono che «l’attenzione dell’opinione pubblica» si focalizzi «sull’azione condotta dal Partito socialista», favorevole alla trattativa con le Brigate Rosse.
Sospettano che Sereno Freato, il segretario particolare di Moro a cui la moglie dello statista aveva delegato la gestione della vicenda, fosse il postino delle missive «fatte arrivare alla stampa». Scrivono: «In taluni ambienti c’è la preoccupazione che, documenti riservati raccolti da Moro e in possesso di Freato, siano stati passati, nel corso delle trattative svolte durante la detenzione di Moro, ad alcuni elementi delle Brigate Rosse».
Curcio non c’entra Gli 007 si rompono il capo nel decifrare l’identità dei sequestratori. Sulla base della lettura dei comunicati il 27 aprile giungono alla conclusione che Renato Curcio non può essere la mente del sequestro. Stilano questo identikit: «Una persona di 35-40 anni, formazione culturale non umanistica e non cattolica, anzi radicatamente marxista, con esperienze personali o ricordi trasmessi di modelli e valori "resistenziali"».
Le misure di Cossiga Gli agenti dell’intelligence redigono il verbale della prima riunione dell’unità di crisi istituita il giorno del sequestro e presieduta dal ministro dell’Interno Cossiga. Scrivono: Cossiga «si è soffermato sulla possibilità di «reintrodurre nell’ordinamento italiano una sorta di fermo di polizia». «Valutata l’opportunità di intercettazioni foniche e telefoniche anche "di fatto" per gli ambienti carcerari». «Il direttore del Sisde propone l’interrogatorio senza difensore degli indiziati di gravi reati». Il comandante generale dei carabinieri «propone di effettuare rastrellamenti metodici con il concorso dell’Esercito.
«Sotto il profilo politico è stata rimarcata da parte degli intervenuti la disponibilità del Pci a sostenere congrue misure di sicurezza». Cossiga prende anche in considerazione «la possibilità di esercitare un controllo sulla divulgazione, soprattutto a mezzo radio televisivo, di notizie idonee a turbare l’opinione pubblica».
I sospetti su Toni Negri Moro è morto da nove giorni quando Francesco Mazzola, sottosegretario alla Difesa con delega ai servizi - il 18 maggio 1978 - invita il generale Santovito ad approfondire la posizione di Toni Negri, chiedendogli di acquisire gli elenchi degli studenti che hanno frequentato le lezioni del professore: il suo sospetto è che alcuni di questi siano passati in clandestinità, specie «se mancano le loro foto in segreteria». Chiede di acquisire i libri di Negri, perché lo stile potrebbero essere simile a quello dei comunicati Br e di accertare i proprietari delle aree circostanti il lago della Duchessa e quelli dell’isola di Giannutri.
Santovito gli risponde il 9 agosto 1978. Ha acquisito l’elenco dei laureati con Negri alla facoltà di scienze politiche di Padova, dal febbraio 1974 al marzo 1978.
«Non sono scomparse fotografie dalla segreteria», aggiunge.
«Non risultano studenti passati in clandestinità». Le aree attorno alla Duchessa sono dell’Istituto Zootecnico di Roma e del Demanio. Nel 1985 Mazzola avrebbe pubblicato anonimo una ricostruzione romanzata del rapimento Moro, I giorni del diluvio, nella quale sostiene il ruolo primario di Gelli.
Nessuna pista internazionale È Bettino Craxi a sollevare, quando ormai il sequestro si è concluso tragicamente, l’interrogativo su Moro «nel mirino del terrorismo internazionale». I servizi, il 18 agosto del ’78, smentiscono questa ipotesi. «È scontata - scrive l’intelligence - la simbiosi ideologica tra Br, Raf, Fpp palestinese, anarchici svizzeri e tupamaros sudamericani.
Tutti si considerano «anelli della stessa catena antimperialista e rivoluzionaria». Ma la "solidarietà proletaria" dei vari gruppi è varia. Mentre palestinesi, tedeschi, l’Jra nipponica e i feddajn hanno come campo d’azione il mondo, quello delle Brigate Rosse si limita alla sola Italia». E sostanziano con questo dato il loro ragionamento: «Gli uomini di Curcio hanno ucciso dal ’74 in poi 25 persone tutte italiane. E tutte tra Cassino e Milano».
Franca Rame e Dario Fo «Due sospetti brigatisti - si legge in una nota Sisde del 20 gennaio 1979 - Alessio Floris e Rosolino Paglia avrebbero contatti con Franca Rame per organizzare spettacoli a fini di finanziamento delle Brigate Rosse». E in un’altra velina, dell’8 maggio 1979, si legge: «Diverse emittenti libere radioe tv della sinistra rivoluzionaria di varie città, costituite come società a San Marino, godono di ingenti finanziamenti, provenienti da canali sconosciuti, che consentono loro di sopravvivere data la assoluta mancanza di altri introiti palesi.
Sovrintenderebbero al giro, senza apparire, Dario Fo, Franca Rame, l’avvocato Tina Lagostena Bassi e il marito, esperto di tecnica bancaria».I coniugi Lagostena vengono seguiti nei loro spostamenti: «Hanno un ingente conto in banca a San Marino. Hanno compiuto un viaggio a Cracovia da dove si sarebbero spostati in Cecoslovacchia, grazie a un visto concesso dalle autorità consolari cecoslovacche in Polonia».
ALBERTO CUSTODERO CONCETTO VECCHIO, la Repubblica 23/6/2011

PERCHÉ APRIRE QUEGLI ARCHIVI È UN VALORE PER TUTTO IL PAESE - La pubblicazione dei documenti declassificati prodotti dai servizi segreti italiani durante il sequestro e dopo la morte di Moro costituisce una significativa operazione di trasparenza che aiuta a diradare il panorama dalle nebbie della dietrologia. Si tratta di fonti interessanti che consentono soprattutto di ricostruire la genealogia di alcune informazioni raccolte dai giornali in quegli anni ormai lontani, di cui però non si conosceva la provenienza. Questo aspetto non deve stupire. Come scriveva Mino Pecorelli su Op nel dicembre 1976 «Notizie, si sa, a un certo livello non esistono. Esistono invece "fughe di notizie". Cioè quelle soffiate, quelle "indiscrezioni" con cui ciascun centro di potere in questa repubblica pluralistica cerca di condizionare, ammonire, minacciare, altri centri di potere».
«In questo senso, parlare di "giornalisti-spia" è parlare di acqua fresca. Il giornalista è insieme una spia e il suo contrario. Spia in quanto per accedere a certe informazioni deve stabilire dei contatti con determinati centri di potere, magari tappandosi il naso, ma senza timori virginali sul candore delle proprie mani. Antispia, perché offre subito al suo pubblico ogni indiscrezione della quale entra in possesso».
Queste carte non sfuggono a tale regola: sono inedite, ma non del tutto nuove, come certe storie d´amore. Tuttavia, sono importanti sul piano civile in quando vengono messe per la prima volta a disposizione dell´opinione pubblica, che ha il diritto di essere informata, e non solo a un ristretto gruppo di studiosi. In effetti, la Commissione Moro già nel 1995 pubblicò un fascicolo "Riservato. Segretissimo" che riassumeva l´attività documentabile e raccontabile del Sismi durante il sequestro e, nel 1996, dei supporti informativi del Sisde (CM, voll. 106 e 126). Salvo errore, l´impressione è che questi nuovi materiali facciano parte e integrino quei fascicoli consentendo ora un´analisi più completa e organica di quelle fonti.
Contrariamente a quanto si crede, considerando che dal rapimento e dalla morte di Moro sono trascorsi appena 33 anni, i documenti consultabili sono sufficientemente abbondanti se confrontati con analoghi episodi che riguardano la storia contemporanea in Italia e all´estero. Ciò è avvenuto perché la vigilanza dell´opinione pubblica è stata particolarmente attenta e, accanto all´infaticabile azione della magistratura, si è avuta anche un´apprezzabile attività parlamentare con l´istituzione di ben tre commissioni di inchiesta (Moro, P2 e Stragi). Infine, nessun governo dal 1978 a oggi ha opposto il segreto di Stato alla magistratura e dunque, fino a prova contraria, non dovrebbe esistere ulteriore documentazione di straordinario valore informativo.
Da queste nuove carte emergono almeno due questioni rilevanti: da un lato, lo sforzo compiuto dai servizi di relegare l´attività delle Br dentro un orizzonte nazionale, privo di qualsivoglia contatto con l´estero. Sorprende la coincidenza di questa insistita riflessione con quella delle stesse Brigate rosse, una volta arrestate e sconfitte. Dall´altro, si trova conferma di un assunto più generale: i primi fomentatori della dietrologia sul caso Moro sono stati proprio i servizi che hanno imboccato le strade più disparate con l´efficacissima intenzione di alzare una cortina fumogena sulla loro effettiva attività. Non a caso il capostipite del genere misteriologico è stato Franco Mazzola, il sottosegretario alla Difesa con delega ai servizi in quei 55 giorni, che scrisse un libro, I giorni del diluvio, prima in forma anonima e poi col suo vero nome, in cui raccontava un´altra storia rispetto alla versione ufficiale, inserendo la vicenda dentro un confuso e avvincente intreccio di relazioni internazionali sul fronte mediorientale e di complicità massoniche. In queste carte lo troviamo il 18 maggio 1978 intento a chiedere al generale Santovito informazioni su Toni Negri e sorge il dubbio se lo stesse facendo in forza della sua delicatissima funzione istituzionale o per raccogliere spunti utili al suo romanzo. Insomma, si ha la conferma, per citare l´altro prigioniero del Novecento italiano Antonio Gramsci, che nel nostro Paese il «"sovversivismo" popolare è correlativo al "sovversivismo" dall´alto, cioè al non essere mai esistito "un dominio della legge", ma solo una politica di arbitrii e di cricca personale o di gruppo». In questo senso anche questi nuovi documenti aiutano a spiegare l´affaire Moro e, raccontando l´Italia di ieri, ancora parlano a quella di oggi.
MIGUEL GOTOR , la Repubblica 23/6/2011