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 2011  giugno 23 Giovedì calendario

2 articoli – TREGUA ARMATA NELLA LEGA. E CASTELLI: ROMANI ARRETRATI - Un deputato leghista nel pomeriggio non aveva dubbi: «Se Reguzzoni si ripresenta è un demente

2 articoli – TREGUA ARMATA NELLA LEGA. E CASTELLI: ROMANI ARRETRATI - Un deputato leghista nel pomeriggio non aveva dubbi: «Se Reguzzoni si ripresenta è un demente. Ha contro 49 deputati su 59: vedi un po’ te». Ma la matematica nel Carroccio, così come la democrazia interna, segue regole molto particolari. Anche perché da tempo immemore la «quadra» la trova sempre il Capo. Umberto Bossi, ieri sera, ha sorpreso tutti, riproponendo il nome del capogruppo uscente, il varesino Marco Reguzzoni. Resta al palo per la seconda volta in due anni lo sfidante bergamasco Giacomo Stucchi, maroniano di ferro. Nessuna conta, come si usa in un vero partito leninista (copyright di Maroni): qui il Capo indica un nome e gli altri lo eleggono per acclamazione. Ma questa volta il Senatur, consapevole di una fronda sempre più ampia, ha ceduto al compromesso: Reguzzoni resterà in carica fino a dicembre, quando arriverà Stucchi. Finale con sorpresa, dunque, in una partita che ha messo in agitazione la Lega, in un giorno di polemiche anche per le parole del viceministro Roberto Castelli sui romani «culturalmente arretrati». Reguzzoni, con il suo piglio decisionista, non sempre ha trovato i consensi del gruppo della Camera. A nuocergli c’ è stata anche la troppo marcata provenienza dal «cerchio magico», ovvero i pochissimi pretoriani che hanno da sempre accesso a casa Bossi e che devono la loro ascesa soprattutto alla benedizione del Capo. Reguzzoni, che ha anche il consenso popolare, visto che a Varese ha sempre raccolto percentuali bulgare, si definisce un «bossiano integralista». Bossi ieri ha detto: «Hanno votato e ha vinto Reguzzoni». In realtà era il candidato unico, deciso dal Senatur. Ma la partita non è finita. Il compromesso, raggiunto dopo due ore di dialogo a tre Bossi-Maroni-Reguzzoni, non può bastare a placare l’ insofferenza. Stucchi sarebbe stato un capogruppo più movimentista, molto meno berlusconiano. In linea con Maroni, che a Pontida si è augurato «una Padania libera e indipendente». Indipendenza, nel lessico leghista, allude al riemergere, magari solo simbolico, della Lega di lotta su quella di governo e a quell’ approdo finale accantonato anni fa: secessione. Nell’ assemblea di ieri, chiesta con un documento (primo firmatario Maroni) da 46 deputati, Bossi ha detto chiaramente che non poteva esserci subito un nuovo capogruppo: «Dopo quello che hanno scritto i giornali, non possiamo permetterci questa figura». A seguire Maroni, che ha chiarito: «La Lega sta unita con Bossi». Poi ha preso atto della rielezione di Reguzzoni, ma ha chiesto: «Fino a quando?». Stefani l’ ha buttata sugli aneddoti, per rasserenare gli animi, che si sono accesi anche per un battibecco tra Fava e Chiappori. Poi la decisione finale di Bossi, con la nomina pro tempore di Reguzzoni. In attesa, si dice, di trovargli un posto da ministro o sottosegretario. Tregua raggiunta, dunque. Anche se le manovre del «cerchio magico» per far fuori dalla segreteria lombarda Giancarlo Giorgetti hanno alzato il livello dello scontro. Rosy Mauro ha smentito: «Tutte balle». Forse. Ma la popolarità di Maroni, omaggiato a Pontida dallo striscione «Maroni premier», non va giù a molti. Qualcuno ha parlato di claque organizzata ad arte. Non il deputato cremasco Alberto Torazzi. Che però aggiunge: «A Pontida Cota è stato molto più acclamato di Maroni». Alessandro Trocino UNITA’ FRAGILE. MARONI: NON E’ ANDATA COME VOLEVO - «Sono soddisfatto. Hanno votato e ha vinto Reguzzoni». Umberto Bossi esce dal gruppo della Lega Nord a Montecitorio ed è il primo a dare la notizia. Eppure, la conferma di Marco Reguzzoni alla guida dei deputati padani non è andata proprio come la racconta il leader. È stato lui, infatti, a chiedere agli onorevoli di ribadire la fiducia all’ ex presidente della Provincia di Varese, eletto dunque senza alcun voto. Al punto che la sortita bossiana ha creato un lieve imbarazzo allo stesso Reguzzoni: «Acclamato o votato, non cambia la sostanza». Il fatto è che 49 dei 59 deputati leghisti avevano firmato un documento a favore del bergamasco Giacomo Stucchi. E Roberto Maroni, all’ assemblea del gruppo, aveva chiesto di eleggere il nuovo presidente del gruppo attraverso la votazione. Ma Bossi ha tirato il freno a mano con tutte e due le mani. I maligni sostengono che il leader abbia ricevuto, intorno alle 13.30 di ieri, una telefonata di Berlusconi che tra l’ altro gli avrebbe espresso la sua soddisfazione per la collaborazione tra il gruppo pdl e quello leghista a guida Reguzzoni. Ma soprattutto, Bossi temeva che una votazione avrebbe rischiato di sancire la spaccatura leghista: «Stucchi è bravo - avrebbe detto il "Capo" -, ma con la situazione che si è creata sulla stampa, in questo momento non c’ è alcuna urgenza di cambiare». A giudicare dai racconti che filtrano dalla riunione, però, qualcuno l’ urgenza la sentiva. L’ incontro è stato definito tesissimo, c’ è chi sostiene che si sia «arrivati a un passo dalla rissa». Altri si dicono «semplicemente allibiti. Qui siamo nell’ 89, sta cadendo il Muro. E i vertici del movimento non se ne accorgono. O, peggio, fanno finta di nulla». Il punto di caduta della discussione è stato comunque la decisione che il mandato di Reguzzoni sarà da rinnovare a dicembre, anziché tra dodici mesi come da prassi. Sempre che non sopravvengano cambiamenti di altro genere, a cui ha accennato lo stesso Bossi. E cioè, un incarico ministeriale per l’ ingegnere varesino: il ministero alle Politiche comunitarie che fu di Andrea Ronchi è privo di un titolare. Chi non è soddisfatto, e lo dice, è Roberto Maroni: «Non è andata come noi volevamo. Ma io sono un leghista e dunque rispetto e accetto le decisioni di Bossi senza discutere. Proprio per questo non ho insistito nel chiedere il voto come sarebbe stato possibile». Restano da capire le conseguenze del voto di ieri. Che si inserisce nella perpetua e perpetuamente smentita guerra intestina tra il cosiddetto «cerchio magico» (oltre a Reguzzoni, Rosy Mauro, Federico Bricolo e - fatto non irrilevante - Renzo Bossi) e il resto del partito. Bisognerà capire se nel gruppo prevarrà la voglia di controffensiva. In questo caso, il primo campo di battaglia sarebbe la segreteria «nazionale» lombarda oggi affidata al «segretario riluttante» Giancarlo Giorgetti. O se piuttosto, gli antagonisti del «cerchio magico» non decideranno di far valere in tutte le sedi la netta predominanza numerica. In ogni caso, quella raggiunta ieri pomeriggio appare la più artificiale e instabile delle unità. Marco Cremonesi