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 2011  giugno 24 Venerdì calendario

YOU-TUBE, IL VIRUS AMMAZZA-TV - È COSTATO SOLO 5 EURO

(cinque: avete letto bene) e ha raggiunto in pochi giorni quasi 625 mila spettatori. Il favoloso mondo di Pisapie – il video cult della campagna elettorale milanese, realizzato da cinque ragazzi poco più che ventenni, appena usciti dalla Scuola di cinema del Comune di Milano e riuniti nel collettivo denominato “Il Terzo Segreto di Satira” – non ha sancito soltanto – come molti hanno detto e scritto in questi giorni – la forza mobilitante e contagiosa delle rete e dei social network rispetto alla funzione passivizzante, statica e conservativa della televisione generalista. Il piccolo film dei ragazzi del “Terzo segreto di Satira” (Pietro Belfiore, Davide Rossi, Davide Bonacina, Andrea Fadenti e Andrea Mazzarella) ha fatto qualcosa di più profondo e radicale, che in pochi ancora hanno colto: ha dimostrato che il cinema è un virus nella rete. HA RESO EVIDENTE A TUTTI come è proprio (anche) grazie alla sua capacità di ricollegarsi alla potenza contagiosa dell’immaginario cinematografico che il web rende obsoleta la televisione e mette a nudo la desolante povertà del suo immaginario. Il favoloso mondo di Pisapie è cinema. Lo è fin dal titolo: che non va pronunciato all’italiana (con la “e” finale di Pisapie ben percepibile all’udito), ma alla francese (Pisapi) per ovvia assonanza con il film di Jean-Pierre Jeunet Il favoloso mondo di Amélie. Quella è la matrice: quell’idea che i destini delle persone si possano cambiare in meglio senza richiami moralistici e senza sguardi accigliati, ma giocando con leggerezza sul diritto di tutti alla felicità, perseguito da una gioiosa vendicatrice come la piccola Amélie interpretata da Audrey Tatou. Pisapie diventa l’Amélie ambrosiano dei giorni nostri: e come l’eroina del film di Jeunet posa uno sguardo trasognato sulla stupidità di quelli che fanno di tutto per impedirci di essere felici. Ai ragazzi che hanno realizzato il film è bastato prendere reperti fonici dei discorsi e degli slogan della Santanché, della Moratti o di Bossi e visualizzarli – far transitare le parole nelle immagini – per mettere a nudo la loro ridicola e grottesca inconsistenza. Parodia dei linguaggi politici della destra? Certo. Ma non solo. Il favoloso mondo di Pisapie, come tutti gli altri short movie po-stati su Youtube dai ragazzi di “Il Terzo Segreto di Satira”, ha una raffinatezza linguistica (nel montaggio, nel taglio delle inquadrature, perfino nell’uso della luce) che è del tutto sconosciuta alla rozzezza del linguaggio televisivo italiano corrente. Si concede perfino il lusso dell’autoironia, prendendo in giro un guru della sinistra come Nanni Moretti e immaginando che nella Milano da incubo paventata dai politici di destra tutte le sale di un multiplex proiettino sempre e soltanto La stanza del figlio.
Ma è solo una delle strategie possibili. Il
gruppo che si firma “MilanoLibera”, coordinato dal doppiatore Silvano Piccardi e dal montatore Manolo Turri, ha pubblicato su Youtube altri video in cui alcune scene di classici della storia del cinema – da Frankenstein Junior a Ritorno al futuro fino a Pulp Fiction – vengono ridoppiati e riadattati con dialoghi che scherzano sull’attualità politica. Vedere Samuel L. Jackson o i personaggi cult di Quentin Tarantino che dicono «Non ci sono problemi, penso io a queste elezioni!», o Christopher Lloyd – il Doc di Ritorno al futuro - che si imbarca sulla DeLorean dicendo a Michael J. Fox che spera di approdare a un futuro in cui Milano sia finalmente una città libera, ha un effetto potentissimo perché gioca – appunto – su un immaginario consolidato, radicato, pervasivo, universale. La tv non ce l’ha, questo immaginario. E perde anche per questo. Il riassetto complessivo del sistema mediatico lo sta dimostrando: se è vero che la rete è un meta-medium, un medium che reinterpreta e ri-media tutti i linguaggi mediatici precedenti, è anche vero che ha bisogno di un medium-esperanto come il cinema, mentre non sa che farsene di un medium locale, angusto, “dialettale”, difficilmente esportabile come la Tv. Pulp Fiction o Il favoloso mondo di Amélie mettono in moto un immaginario universale, Striscia la notizia non va oltre i confini. Questo è quello che si sta improvvisamente rivelando: il vuoto di immaginario che c’è dietro e dentro la televisione. Si potevano usare le battute che Silvano Piccardi e gli altri doppiatori mettono in bocca ai personaggi del cinema americano per farle pronunciare ai protagonisti della tv nostrana? A Maria De Filippi, a Bonolis, a Platinette, o a un personaggio dei Cesaroni? Assolutamente no. Perché questi personaggi non sono decontestualizzabili. Vivono solo dentro il contesto per cui e in cui sono stati prodotti, si sgonfiano e si afflosciano appena escono da lì. Perché questa è la differenza: il cinema – quando non è tv mascherata – genera un altrove e ti ci fa transitare, la tv no. La tv “riflette” la realtà. La “rispecchia”. Ambisce a rispecchiarla. È parassitaria della realtà. O di quella che si spaccia per tale. Ma quando qualcuno svela – come sta accadendo in questi giorni – che quella che credevamo la realtà è invece solo un racconto sulla (o della) realtà, allora tutto crolla. Allora la tv mostra i suoi limiti congeniti. La sua povertà ontologica. La sua incapacità di generare, appunto, un “altrove”. Stiamo vivendo un po’ tutti come nel finale di Truman Show: quando il signor Truman scopre che quella che credeva la sua vita è solo uno spettacolo di finzione mandato in onda in diretta 24 ore su 24. La rete ha fatto a pezzi il cielo di carta della grande menzogna. Ma per farlo ha dovuto generare un cortocircuito con un medium vecchio come il cinema, e usarlo. Il cinema virato in rete ha reso visibile l’inganno. Perché la rete ha pur sempre bisogno di una grammatica, di una sintassi. Il cinema gliele offre. Così, mentre la Tv tramonta, il cinema risplende. Urla salta canta balla spacca vede. Nuovo? Non del tutto. Nuovo/vecchio. Quel che fanno i film in rete è generare senso attraverso crash percettivi e cortocircuiti cognitivi. Un vecchio rivoluzionario come Sergeij Ejzenstejn lo faceva già nella Russia degli anni venti. Lo chiamava montaggio delle attrazioni. Ora, con il web e con il digitale, sembra una pratica alla portata di tutti. Anche di chi non sa di metterla in pratica.