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 2011  giugno 24 Venerdì calendario

QUANDO CI SI SCOTTA CON I BOND SPECULATIVI

Questa mattina in un’aula del Tribunale di Milano si torna a parlare di un caso che con risvolti, anche penali, fa scalpore. La VI sezione civile del Tribunale di Milano, il 21 febbraio scoso, condanna Ubs a risarcire un’anziano cliente per la stratosferica cifra di 32 milioni. Il fatto è eclatante: il cliente dà ordine alla banca di acquistare un bond di Landsbanki per 32 milioni di euro. Gran parte di quel denaro è conferito in una gestione patrimoniale. Così che per acquistarlo subito, prima di disinvestire gran parte del denaro, autorizza la stessa Ubs, con la sottoscrizione di un’apposita clausola, a superare il limite del 5% all’epoca in vigore. I fatti risalgono al febbario 2007, prima dell’arrivo della Mifid (autunno 2007) che cambierà le regole nei rapporti tra clienti e banche. Ma nel 2008 fallisce la banca islandese (quando fu acquistato il bond era investment grade). Così, persi tutti i soldi, l’apparente malcapitato inizia la causa contro la banca svizzera. Accade però che lo stesso cliente, lungi dall’essere uno sprovveduto vecchietto, come sarà dimostrato nella causa civile, era invece un’assiduo frequentatore dell’ufficio negoziazione titoli di Ubs e perfino un’esperto in investimenti speculativi. Lo stesso Tribunale, con una perizia calligrafica sulle tre firme dal cliente poste sui moduli della banca, ne aveva accertato l’autenticità. Si è dovuto ricorrere a questa prova dall’apparente valore decisivo perchè l’autore dello sfortunato investimento aveva sollevato dubbi sull’autenticità delle firme poste ai suoi ordini dati a Ubs. Tanto da citare per danni addirittura il private banker che lo aveva seguito in Ubs e il suo superiore. La sentenza di 1° grado condanna la banca a risarcire, dando esclusivamente rilievo al fatto che, essendoci un contratto di gestione, la banca è responsabile. Ma allo stesso tempo, con evidente contraddittorietà, rigetta la richiesta per danni contro il banker e il superiore gerarchico di Ubs. Anzi, condanna il risparmiatore a pagare le spese di giudizio (oltre 126mila euro). Appena un mese dopo, il 22 marzo 2011, la Corte d’Appello di Milano (1° sezione civile) ribalta tutto: sospende l’esecutività della sentenza di 1° grado con una motivazione, molto rara nella routine giudiziaria quotidiana, anticipando in buona sostanza che l’atto d’appello dell’Ubs era fondato perche non si è tenuto conto della decisiva prova documentale che aveva accertato l’autenticità delle firme. Nell’ordinanza di sospensione si spiega che: «pur vertendo nell’ambito di gestione patrimoniale, è dimostrato che l’investimento in titoli non quotati in mercato regolamentato è stato fatto da un investitore che, pur disconoscendo la propria firma, accertata invece come autentica, ha dato ordine d’acquisto vincolante alla propria banca». Insomma, quello che conta è la volontà del cliente ben documentata.