Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  giugno 24 Venerdì calendario

L’OCCIDENTE SBLOCCA LE RISERVE

Sessanta milioni di barili, in un mese. In altre parole 2 milioni di barili al giorno per 30 giorni, con un obiettivo chiaro: compensare la perdita del greggio libico, fronteggiare l’aumento della domanda mondiale, raffreddare il prezzo del barile mantenendo gli speculatori lontani dai mercati in un periodo in cui la crescita mondiale è ancora vulnerabile.

Da quando è nata, nel 1974, l’Agenzia internazionale dell’energia (Aie) non ha mai rilasciato un simile quantitativo dalle sue riserve di emergenza. La decisione, annunciata ieri, era nell’aria. Non si immaginava tuttavia che si arrivasse a queste quantità e in tempi così rapidi. Dei 60 milioni di barili 30 saranno riversate sui mercati dalle riserve strategiche degli Stati Uniti - che ammontano complessivamente a 727 milioni di barili - il resto in proporzione dai 28 Paesi consumatori membri dell’Aie. Quindi Italia inclusa, che farà la sua parte con 82mila barili al giorno, circa il 4% del totale.

Immediata la reazione sui mercati dei futures del greggio. I contratti sulla qualità Brent, il greggio di riferimento scambiato in Europa, hanno accusato un crollo perdendo più di 8 dollari al barile e chiudendo poi in serata a 107, 26 dollari (-6,1%). Un valore inferiore alle quotazioni del greggio prima della rivolta libica. A New York i futures sul Wti, hanno perso 4,3 dollari chiudendo a 91,02 , il minimo dall’otto febbraio. I futures sulla benzina sono scesi ai minimi da tre mesi.

L’Aie ha fatto sapere che la decisione è stata presa per fronteggiare un’interruzione dell’offerta - quella libica - che ha già sottratto ai mercati 132 milioni di barili e rischiava di protrarsi danneggiando la ripresa della crescita mondiale in un momento in cui la domanda è alta. Il terzo trimestre dell’anno segna la stagione della benzina, quando i consumi di carburante toccano i picchi, soprattutto negli Usa. Ma il greggio migliore per essere trasformato in benzina è il sweet light, a basso contenuto di zolfo. E buona parte di quello libico faceva parte di questa qualità molto richiesta. Che caratterizza solo in parte le scorte strategiche Usa. È ormai opinione condivisa tra gli analisti che, comunque vada il conflitto, è difficile ipotizzare la ripresa dell’export libico prima della fine dell’anno.

Ma c’è di più. Il legame tra la conclusione dell’ultimo vertice Opec e la decisione di ieri è evidente. Lo scorso 8 giungo a Vienna in un difficilissimo vertice, conclusosi con un inusuale mancato accordo, i sauditi non erano riusciti a imporre la decisione di alzare la produzione di 1,5 milioni di barili al giorno. I falchi, guidati da Iran e Venezuela avevano avuto la meglio. I Paesi consumatori, Stati Uniti in testa, avevano espresso la loro delusione per l’esito del vertice, sottolineando i loro timori per la ripresa dell’economia. Irritati con i falchi dell’Opec, i sauditi aveva assicurato i mercati, impegnandosi unilateralmente ad attingere dalla loro capacità di riserva almeno un milione di barili in più. Greggio comunque pesante.

Alcuni Paesi membri dell’Opec hanno espresso ieri il proprio disappunto. «Non so come giustificare una simile interferenza sui mercati», ha dichiarato un delegato iraniano dell’Opec. «Non c’è ragione per farlo. Il barile non si trova a 150 dollari, e non c’è carenza di offerta sui mercati», gli hanno fatto eco due altri delegati dei Paesi del Golfo. Un disappunto condiviso da altri Paesi Opec, preoccupati che i prezzi scendano a valori ai loro occhi indesiderabili. Un timore che potrebbe essere fondato. La banca d’affari Goldman Sachs ha infatti stimato che il rilascio delle scorte potrebbe abbassare di 12 dollari le sue precedenti stime sui prezzi del Brent nei prossimi tre mesi. L’Aie e gli Stati Uniti non hanno invece escluso di rilasciare altre scorte strategiche se necessario.

Scottata dal primo grande shock petrolifero del 1973, i Paesi consumatori crearono l’anno dopo l’Aie, con il suo sistema delle riserve strategiche, con cui gli attuali 27 Paesi membri si impegnano ad avere a disposizione scorte petrolifere equivalenti ad almeno 90 giorni di consumi calcolati sulla media dell’anno precedente. In 37 anni, tuttavia, l’Aie ha attinto dalle sue scorte solo tre volte volte (inclusa quella di ieri): la prima durante la guerra del Golfo, nel 1991, e poi durante l’urgano Katrina, nel 2005.

La decisione dell’Amministrazione Obama di accedere alle riserve strategiche ha sollevato subito polemiche tra esponenti repubblicani e dell’industria petrolifera Usa perché la manovra avrebbe effetti di breve durata (il totale rilasciato corrisponde a meno di tre mesi di export libico) ed è stata comunque adottata in un momento in cui gli stock americani di benzina si trovano a livelli non preoccupanti. Finora.