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 2011  giugno 23 Giovedì calendario

La Cina libera Ai Weiwei “Ha ammesso i suoi crimini” (2 articoli) - Con un breve comunicato in cinese e in inglese pubblicato alle 10,15 di sera ora locale, l’agenzia di stampa Xinhua (Nuova Cina) ha reso noto che l’artista dissidente Ai Weiwei, detenuto dal 3 aprile scorso, è stato rilasciato su cauzione, «grazie al suo atteggiamento positivo nel confessare i suoi crimini e a causa di una malattia cronica della quale soffre»

La Cina libera Ai Weiwei “Ha ammesso i suoi crimini” (2 articoli) - Con un breve comunicato in cinese e in inglese pubblicato alle 10,15 di sera ora locale, l’agenzia di stampa Xinhua (Nuova Cina) ha reso noto che l’artista dissidente Ai Weiwei, detenuto dal 3 aprile scorso, è stato rilasciato su cauzione, «grazie al suo atteggiamento positivo nel confessare i suoi crimini e a causa di una malattia cronica della quale soffre». Il rilascio è stato confermato da un breve sms che l’artista ha inviato al suo avvocato, Liu Xiaoyuan, che dice «sono fuori!». Xinhua ha aggiunto che «la decisione è stata presa anche in considerazione del fatto che Ai si è ripetutamente detto disposto a pagare le tasse che ha evaso, secondo quanto detto dalla polizia». «L’azienda controllata da Ai, Beijing Fake Cultural Development Ltd, ha evaso un’enorme quantità di tasse ed ha intenzionalmente distrutto documenti contabili», ha quindi aggiunto l’agenzia governativa. Questa, l’integrità del secco comunicato che ha messo fine – alla vigilia di un viaggio diplomatico del premier Wen Jiabao in Gran Bretagna e Germania – a una vicenda durata 80 giorni che ha scosso il mondo dell’arte e non solo. L’arresto di Ai, infatti, uno degli artisti contemporanei più noti e uno degli architetti dello stadio olimpico «Nido d’Uccello» a Pechino, aveva suscitato scalpore innescando una forte campagna di pressione, coinvolgendo molti musei internazionali, portando personalità di spicco come Anish Kapoor a rifiutare di esporre in Cina fintanto che Ai Weiwei non avesse riacquistato la libertà, e reso ancor più noto tanto l’artista, quanto l’ondata repressiva che si sta abbattendo sulla Cina in questo periodo. Le accuse nei confronti di Ai Weiwei, mai formalizzate dalla polizia, erano trapelate solo tramite l’agenzia Xinhua o nel corso delle conferenze stampa che il ministero degli Affari esteri tiene con i giornalisti, e sono state modificate di frequente durante la scomparsa di Ai. A conferma del rilascio dell’artista, oltre all’sms, anche due battute che ha scambiato con il New York Times e il tedesco Bild, ai quali si è limitato a dire: «Sto bene. Sono di nuovo a casa. E sono libero». Divieto assoluto di fare interviste. La sorella Gao Ge alla Bild ha detto che il fratello «è estremamente felice. Ma ha perso qualche chilo». Nicholas Bequelin, ricercatore per il gruppo per i diritti umani Human Rights Watch, ha dichiarato: «Accogliamo con piacere il rilascio di Ai Weiwei, si tratta ovviamente di un risvolto molto positivo, dato che se fosse stato portato davanti al tribunale sarebbe senz’altro stato condannato, non esistendo in Cina le condizioni per un processo regolare in questi casi. Si direbbe che Pechino abbia deciso che il danno d’immagine del tenere prigioniero Ai era troppo alto, e che era meglio rilasciarlo, vista la forte protesta internazionale. Lo stesso, aver colpito una personalità così importante funge da pesante deterrente, da avvertimento a chiunque voglia sfidare le autorità». Le violazioni procedurali del caso sono numerose: Ai, a cui non è mai stato consentito di vedere il suo avvocato, è stato detenuto in una località sconosciuta, una versione degli «arresti domiciliari» tutta particolare, in cui il detenuto non è né in un carcere, né nel suo alloggio, ma in locali della polizia. «Abbiamo molti dubbi sul modo in cui la cosiddetta confessione è stata ottenuta», ha aggiunto Bequelin. Il caso di Ai non è unico: nel 2009, l’avvocato Xu Zhiyong, del gruppo Gongmeng («Iniziativa Costituzionale Aperta») che aveva di frequente assistito clienti in casi politici, venne arrestato e accusato di crimini «economici». Dopo una campagna internazionale, Xu fu rilasciato anch’egli in seguito ad una «confessione» e alla garanzia di non occuparsi più di casi politici. Diverso invece il destino del premio Nobel per la Pace Liu Xiaobo, il quale, scomparso per quasi un anno nel 2009, è stato condannato a 11 anni di detenzione per «sovversione», dopo una campagna internazionale tiepida, che ha faticato a decollare fin quando non era troppo tardi. Perché come dimostra la liberazione di Ai Weiwei, in fondo Pechino continua a dare peso alla sua immagine nel mondo. ILARIA MARIA SALA *** “È tutta propaganda sarà sempre prigioniero nel suo Paese” - Ma quale libertà. Ai Weiwei potrà godere al massimo di una «libertà con caratteristiche cinesi», dice Harry Wu, rinchiuso per 19 anni nei «laogai», i campi di lavoro forzato, per aver criticato il Partito comunista, e da 25 anni rifugiato negli Stati Uniti. Come vivrà ora Ai Weiwei? «Sarà costantemente sotto controllo o costretto a un esilio forzato all’estero, come molti altri dissidenti. La sua non è libertà, ma parvenza di libertà, ovvero libertà con caratteristiche cinesi. In Cina questa parola non esiste per chiunque critichi il Partito. Io, per esempio, oggi agli occhi del mondo sono un uomo libero. Ma è libero colui al quale è negato un visto di ingresso nella propria patria? Né so se potrò più rivedere il mio amato Paese. Che libertà è questa?». Allora perché il governo ha deciso di rilasciare l’artista dissidente? «Per puro pragmatismo. Il Partito Comunista Cinese non condivide certo il concetto occidentale di “diritti umani”: semplicemente ha ritenuto che liberare l’artista fosse conveniente in questo momento, considerate le crescenti pressioni internazionali». Paura di ritorsioni? «I governanti cinesi sono intelligenti. Sanno che l’eccezionale sviluppo economico vissuto dalla Cina è possibile solo nella condizione di un’oculata stabilità. La liberazione di Ai Weiwei è il compromesso pratico, la giusta piccola manovra che consente al Partito di tenere salda la rotta, sia all’esterno, accontentando di tanto in tanto le richieste dell’Occidente, sia all’interno: non dimentichiamo infatti che sempre più la Cina dovrà fare i conti con le evidenti contraddizioni che la caratterizzano. Anche nel Partito le voci critiche nei confronti del leader teoricamente intoccabile, Mao Zedong, sono sempre più forti. Non esiste vero sviluppo senza vera libertà, ma servirà ancora del tempo prima di arrivarci». Perché la Cina ha liberato Ai Weiwei e non altri dissidenti? «Ai Weiwei è molto amato all’estero, ma soprattutto non è un vero nemico del governo. Ricordiamo che suo padre, Ai Qing, era un poeta diventato famoso dopo essere entrato nel Partito Comunista e avere scritto versi a favore della Rivoluzione Culturale. Lo stesso Ai Weiwei non critica apertamente il Partito, ma lo fa indirettamente attraverso le sue opere». Sta dicendo che non è abbastanza coraggioso? «Non è facile andare contro il governo cinese. Significa mettere a rischio non solo la propria vita, ma anche quella dei propri cari. Io stimo Ai Weiwei, lo ritengo un artista coraggioso. Sa che le sue opere non saranno mai gradite in patria, e sa di essere condannato a una vita di costrizioni. Non l’ho mai incontrato, chissà se ora che è “libero” come me potrò avere questo piacere». MARZIA DE GIULI