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 2011  giugno 23 Giovedì calendario

CHIRSTIANA PAGA 16 MILIONI DI EURO PER RESTARE LIBERA - L’

utopia di un quartiere autogestito secondo i propri principi ha un prezzo: 120 milioni. E pazienza se la valuta stampata sul cartellino non è il LØN, la moneta inventata dai suoi residenti, bensì le comunissime corone danesi: l’offerta era troppo allettante. Centoventi milioni di corone: tanto sborseranno gli 850 abitanti di Christiania, la famosa comunità hippy nel cuore di Copenaghen, per trasformarsi in proprietari. Per l’equivalente di 16 milioni di euro - un prezzo ben più basso di quello di mercato compreranno i 35 ettari di terreni che avevano occupato un giorno del lontano 1971. Per bandire il rischio di uno sfratto, che non ha mai smesso di aleggiare sulle loro teste, e mettere insieme i 120 milioni di corone, una cifra enorme per loro, si serviranno di prestiti e ipoteche e, forse, potrebbero lanciare anche un’apposita «azione popolare». Profani strumenti dell’economia di mercato, certo, ma tant’è: «È un accordo bellissimo», gioisce Knud Foldshack, l’avvocato che li ha seguiti negli ultimi sette anni.

Si chiude così un contenzioso con le autorità danesi che si trascina ormai da quarant’anni, da quando, cioè, un gruppo di hippy scavalcò la rete di recinzione di un’ex area militare abbandonata e decise di creare qui una comunità alternativa. La polizia provò a sgomberarli, ma senza successo: l’area era troppo grande. È così che Christiania venne dichiarata dalla città un «esperimento sociale» e, pian piano, si trasformò in una zona franca, o meglio, in una «Città libera», con la sua moneta, la sua bandiera (un drappo rosso con tre punti gialli a indicare le tre «i» di Christiania), i propri eroi (Time Schmedes, la prima residente eletta nel consiglio comunale di Copenaghen, che nel 1974 scatenò un terremoto sui media danesi allattando suo figlio in pubblico), e le sue regole. No alle auto: non è un caso se la «Christiania Bike», la bici a tre ruote con una sorta di carrello anteriore porta-bambini o porta-spesa che ha avuto successo anche all’estero, sia stata inventata qui. No alle droghe pesanti, ma sì a quelle leggere: fino al 2004 sulla «Pusher street» si allineavano stand in cui era possibile acquistare hashish. La diffusione delle droghe è stata alla base di numerose retate della polizia. Infine, alla democrazia di base: le decisioni si prendono in riunioni plenarie e il collettivo decide, ad esempio, chi può trasferirsi qui e chi no.

L’isola alternativa, che offre teatri, ristoranti e un centinaio di botteghe artigianali, si è trasformata così in un magnete per i turisti: se ne contano circa un milione l’anno, niente male per un quartiere in cui non c’è neanche un albergo. Insieme alla Sirenetta e ai Giardini di Tivoli è l’attrazione più visitata della capitale danese. Lo Stato, però, e soprattutto il governo di centro-destra, le ha provate di tutte per sgomberare il quartiere e a febbraio ha vinto l’ultima battaglia legale: la Suprema corte ha stabilito che l’area non appartiene agli hippy, ma allo Stato. Il quale, a sorpresa, ha messo sul piatto l’offerta di acquisto. In fondo l’accordo fa comodo a entrambi: alle autorità, che «normalizzano» l’isola hippy ed evitano il rischio di scontri di piazza in caso di sgombero. E agli alternativi, che si assicurano a prezzo stracciato il diritto di continuare a vivere la loro utopia.