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 2011  giugno 23 Giovedì calendario

I veri eroi 2.0? Anonimi – In fondo, è colpa di Tom Cruise. Se oggi il web più istituzionale è terrorizzato dalle scorribande di Anonymous, il collettivo di hacker che va all’assalto dei siti di corporation e governi, una grande responsabilità va attribuita all’attore

I veri eroi 2.0? Anonimi – In fondo, è colpa di Tom Cruise. Se oggi il web più istituzionale è terrorizzato dalle scorribande di Anonymous, il collettivo di hacker che va all’assalto dei siti di corporation e governi, una grande responsabilità va attribuita all’attore. È stato un suo controverso video di propaganda a Scientology, apparso online il 14 gennaio 2008, a scatenare tutto. Il movimento religioso ordinò subito a YouTube di cancellarlo. E Anonymous decise che era giunta l’ora di lanciare la sua crociata globale contro la censura. Come? Attaccando i server di Scientology e organizzando manifestazioni di piazza in decine di città del mondo, con maschere di Guy Fawkes, quelle rese famose dal film V for Vendetta. La rivoluzione era cominciata. Con un successo. Se cerchi “Tom Cruise" su YouTube, scopri che il primo video che appare, il più visto e commentato, è proprio quello che in teoria solo gli adepti di Scientology avrebbero dovuto vedere. Ma quella è preistoria. Oggi Anonymous non si limita più a litigare con l’ormai sbaragliata Scientology o a occupare goliardicamente il social network Habbo (altra vittima). Le sue operazioni hanno un respiro molto più ampio e finiscono spesso sui giornali, nonché sull’agenda di Fbi e autorità di mezzo pianeta. A fine 2010, per punire il boicottaggio nei confronti di WikiLeaks, il gruppo ha lanciato un attacco informatico contro i siti di Mastercard/Visa e Paypal (nome in codice: Operation Payback). A gennaio, in sostegno alle rivolte arabe, l’obiettivo è stato puntato sui server dei governi egiziano e tunisino. In primavera è stata la volta di Sony, colpita da una campagna che, sebbene non rivendicata al 100%, ha portato al blocco del network Playstation e a costi spropositati per la multinazionale. Un salto di qualità che ha suscitato molti interrogativi: che cosa è Anonymous? Chi la guida? E quali sono i veri obiettivi? Le risposte, come spesso esige internet, hanno il sapore della beffa. Perché Anonymous altro non è che il frutto di un gioco, uno di quei tanti passatempi che colorano il web. Il fenomeno nasce a metà dello scorso decennio su 4chan, una bacheca dove gli utenti pubblicano immagini curiose firmandosi, appunto, come "anonymous". Viene fuori così, l’idea di un’entità intelligente, collettiva, senza nome: un insieme di utenti, per lo più giovanissimi, dalle solide competenze informatiche e dall’umorismo irriverente. Vivono un po’ ovunque (Europa e Usa in primis) e si ritrovano in chat varie, dove tra una battuta e l’altra organizzano le attività. Senza un leader. Senza un vero progetto politico. Giusto con uno slogan: "Knowledge is free. We are Anonymous. We are legion. We don’t forgive. We don’t forget" ("La conoscenza è libera. Siamo Anonymous. Siamo una legione. Non perdoniamo. Non dimentichiamo"). La segretezza non è la regola. Le operazioni sono annunciate su www.anonnews.org e gli stessi denials-of-service attack (DDoS), l’arma più comune tramite la quale Anonymous mette fuori uso i bersagli delle sue campagne, sono a ingresso libero: scaricando applicazioni open source come LOIC (Low Orbit Ion Cannon), chiunque può partecipare agli attacchi. L’entusiasmo, però, può rivelarsi controproducente: bloccare il sito di un’azienda è illegale e a gennaio 5 ragazzi inglesi sono stati rintracciati e arrestati nell’ambito delle indagini sull’Operation Fayback. II vero tabù di Anonymous è un altro, e lo dice il nome: l’anonimato. Lo scorso gennaio, quando Aaron Barr, capo della società di sicurezza HBGary Federal, ha annunciato di esser risalito all’identità di tre leader del gruppo, la reazione è stata implacabile: saccheggio dei server della HBGary e distribuzione su The Pirate Bay di migliaia di e-mail private. Il 28 febbraio Barr ha dato le dimissioni. Parlando di leader, però, Barr ha toccato un tasto sensibile. Anonymous è davvero un collettivo privo di gerarchie? La discussione è aperta, anche dentro al gruppo. In primavera si sono registrate defezioni, schermaglie informatiche interne. Alcuni membri hanno denunciato l’esistenza di chat private, dove pochi privilegiati prendono le decisioni più importanti. Altri, al contrario, hanno preso di mira proprio la struttura aperta e senza guida di Anonymous. «Il problema è che ci sono parecchi utenti a cui non frega nulla di giustizia e trasparenza, sono solo interessati al cazzeggio e ai piccoli scontri virtuali», ha dichiarato Barrett Brown, uno dei fuoriusciti più noti. Sui forum, tuttavia, queste tensioni vengono spesso seppellite con una risata. Già, perché i "cyberterroristi" di Anonymous hanno anche un altro slogan, meno minaccioso del primo: "Just for the lulz". Ovvero: "Solo per divertimento". E chissà che la loro arma più sovversiva, temutissima fin dai tempi del Nome della Rosa, non sia propria questa.