Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  giugno 22 Mercoledì calendario

NUOVO TEATRO PARIOLI, L’EX REGNO DI COSTANZO DIVENTA UN PARCHEGGIO

Che tristezza se il teatro Parioli diventa un garage. Ricordo che - forse due anni fa - ero stato invitato a pranzo da Maurizio Costanzo. Tu gli chiedevi "Dove?". Lui ti rispondeva: "Ci vediamo al Parioli". Tu pensavi che fosse un appuntamento per poi andare da qualche parte, invece lui intendeva proprio lì, dentro. I suoi appartamenti erano quelli. Ricordo una stanza piena di foto di scena, cornici, un piccolo museo di memoria. Poi una saletta nel camerino, in cui non si vedevano finestre, apparecchiata.
Un cameriere in bianco (sembrava saltato fuori dal Costanzo show) e il paio di baffi più noti della televisione italiana che a tratti scattavano in piedi e si infilavano in una porticina alle loro spalle senza dire nulla e ricomparivano dopo pochi istanti. Al terzo balzo di Costanzo non avevo resistito a chiedergli: "Telefonata?". E lui, con una pausa teatrale e un sorriso inenarrabile: "No. Pisciata".
L’aneddoto vale la pena di essere raccontato perché non era un momento di pudore dal sen fuggito, ma una manifestazione di domesticità esibita, davanti a tutti gli ospiti, con la sicurezza sfavillante di chi può. Molti altri ospiti mi raccontarono che la scena si ripeteva, sempre uguale. Era la migliore rappresentazione del legame fra l’uomo e quel teatro: "Se potessi - confessava - verrei ad abitare qui dentro, e non ne uscirei mai più". In fondo, mentre lo diceva, come per esorcizzare una tentazione, raccontava qualcosa che era già accaduto. Costanzo aveva la residenza a via Poma, in Prati, ma - anche per effetto della vita blindata - viveva nel teatro senza doversi muovere.
Infatti era l’Italia che entrava dentro quel camerino, che all’occorrenza diventava anche il set del "Diario", una striscia quotidiana della mattina. Tutta l’Italia bussava alla porta del teatro Parioli, il set più importante della politica italiana, dello spettacolo, dell’informazione. Su quel palco era nata l’icona belligerante di Vittorio Sgarbi, che diede scandalo gridando scomposto: "Voglio vedere Federico Zeri morto! Morto!".
E poi la prima volta di Cesare Previti: "Sono un avvocato che si candida per portare la voce della società in politica". Le interviste di Costanzo rifuggivano le grandi strategie e scavavano le piccole curiosità. Il palcoscenico spesso diventava un’arena ribollente, il catino dell’uno contro tutti che diede spolvero a un Fausto Bertinotti che gridava: "Ora e sempre: viva Cuba!".
Su quel palco un altro Gianfranco Fini diceva che non avrebbe voluto maestri omosessuali per suo figlio, Aldo Busi diede scandalo parlando del diritto alla sessualità dei bambini che gli costò l’accusa di pedofilia, su quelle assi presero luce i talenti più disparati da Ricky Memphis a Valerio Mastandrea, Fiorello, a Giobbe Covatta, David Riondino e Enzo Iachetti. In via Fauro - davanti al teatro - la mafia mise una bomba che consacrò il Parioli come un simbolo di antimafia.
Ed era come una punizione per la famosa staffetta con Michele Santoro, i cui ospiti principali erano Giovanni Falcone, Claudio Fava e Alfredo Galasso, mentre da Palermo interveniva furibondo un giovanissimo Totò Cuffaro cercando di strappare il microfono al futuro conduttore di Annozero. Il regista era Paolo Pietrangeli, l’ospite fisso era Bracardi. Si andava in onda la notte, ma si registrava tutti i giorni alle sei andando in onda in differita, per alimentare i giornali. Costanzo diceva: "Con i soldi della televisione, che per me è un lavoro, pago il teatro, che è la mia passione".
Invece, con il senno di poi è la televisione che ha sequestrato il teatro e il suo signore, trasformando il Parioli in un set televisivo. È stato lì che Costanzo ha conosciuto Maria De Filippi, autrice televisiva e sua futura moglie.
È stata Mediaset ad alimentare la megalomania che Costanzo riversava sui palcoscenici capitolini: nell’ultimo anno della giunta Veltroni (e contro il parere del sindaco) il giornalista coi baffi strappó il teatro Brancaccio a Gigi Proietti (volarono gli stracci sui giornali) poi fondò un teatro Tenda che avrebbe dovuto portare Gigi D’Alessio nelle periferie romane, e quindi assunse anche la direzione artistica del teatro di Latina e il festival dello humour di Tolentino, della società "Voglia di teatro". L’ultimo Costanzo, quello che veniva congedato da Mediaset, provò a portare in questi teatri l’aura mediatica della celebrità catodica, il mariadefilippismo (senza la De Filippi), le star di Amici e i monologhi di Zelig.
Spettacoli pop come www.portamitanterose, con una mattatrice come Valeria Valeri circondata dalle giovani star-lette del piccolo schermo. Andò male, anzi malissimo. E dopo grandi battage, non andó nemmeno in scena Eva Henger che doveva recitare Carmelo Bene per un veto della famiglia dell’attore. Le signore impellicciate che si tiravano a lucido per la prima fila del Costanzo show disertavano la campagna abbonamenti. Il nuovo ufficio, moderno ed elegante, pieno di tartarughe, era meno frequentato dai potenti del camerino ristorante angusto e diuretico.
Adesso che i miracolati di Costanzo si dimenticano di lui e la notizia della trasformazione del teatro in parcheggio viene notata solo da Dagospia, vale la pena ricordare che uno dei pochi a contestare il potere di Costanzo quando era in auge fu Nanni Moretti: "Fa impressione - diceva - che uno come il piduista Costanzo sia diventato un punto di riferimento della sinistra". Ma Costanzo era consulente di tutti: della Pivetti e di D’Alema, di Berlusconi e di Rutelli.
Nel 1975 disse di aver votato Dc per paura del sorpasso comunista, era iscritto al Partito radicale (urine di Pannella bevute in diretta tv), diceva di essere "un vecchio socialista alla Nenni", era ammesso alle riunioni di Berlusconi ad Arcore. Nell’ultima stagione del Parioli il cartellone era in mano a Paolo e Pedro o a spettacoli del tipo "Come sono caduto in Baz". Adesso che il teatro del grande burattinaio resta senza burattini e viene minacciato dalle ruspe, è giusto raccontare che tutta la classe dirigente di destra, di sinistra o di centro avrebbe pagato qualsiasi cosa per cinque minuti davanti a quello sgabello e che per venti anni tutti i grandi talenti italiani sono passati da quel palco. Adesso, malinconicamente, sipario: Parioli spoon river.