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 2011  giugno 22 Mercoledì calendario

I CONFLITTI D’INTERESSI DI MOODY’S

& C –

L’ultimo stop è arrivato da Fitch. La più piccola delle tre sorelle del rating internazionale ha bloccato la collaborazione delle banche nel salvataggio della Grecia. Secondo gli analisti il salvagente per Atene deve essere costruito dal Fondo Monetario e dalla Ue. Alle banche, invece, non può essere chiesto alcun sacrificio. Altrimenti Fitch e le sue gemelle Moody’s e Standard & Poor’s decreteranno il fallimento della Grecia. Una severità molto spinta. Come un rigore assegnato all’ultimo minuto.
Ma la tre sorelle del rating ormai sono diventate come gli antichi oracoli: le loro previsioni e i loro giudizi sono decisivi per i destini delle nazioni e di milioni di persone. Tener fuori le banche dalla tragedia greca ha un obiettivo immediato. Serve a dimostrare la severità degli arbitri: la Grecia che propone alle banche una moratoria sui crediti equivale ad un’istanza di concordato preventivo. Il dissesto è sul tavolo.
Se invece sono gli Stati a finanziare non cambia nulla. La Grecia resta formalmente in piedi. Poi dovrà andarsela a sbrigare con la Bce e con il resto della Ue. Su questo crinale emerge il primo conflitto d’interesse di cui soffrono le agenzie di rating. Inflessibili con le finanze pubbliche. Comprensive con i privati. Fino al punto da non aver colto nessun segnale su Enron, Parmalat o Lehman. Vale a dire i crack più clamorosi degli ultimi dieci anni. Aziende che fino al momento prima di fallire godevano della piena fiducia delle tre sorelle del rating. Con gli Stati, invece, il rigore è nerboruto. Perché? Per evidenti ragioni: le società private pagano profumatamente i report di Fitch, S&P e Moody’s. Spendono cifre considerevoli perché sanno che un giudizio positivo consentirà di ridurre enormemente il costo del debito. Compensare, anche profumatamente, questo servizio è quasi un segno di riconoscenza. Nel prezzo anche l’obbligo al silenzio.
Gli Stati, invece non pagano niente o molto poco. In cambio offrono grande notorietà. Avanzare dei dubbi sulla politica economica di Obama è una catapulta verso le prime pagine dei giornali di tutto il mondo. Una pubblicità gratuita e di grande risonanza. Che oltretutto si ammanta di una qualche forma di eroismo perché sembra sfidare la potenza della prima economia del mondo. Stesso discorso sull’Italia. Avanzare dei dubbi, come hanno fatto Moody’s e Standard & Poor’s sulla solidità del nostro debito mentre infuria la crisi greca rappresenta un altro sprint verso le prime pagine. Anche qui un dividendo: la manifestazione pubblica dell’implacabile severità. Insomma le agenzie di rating tendono a farsi pubblicità sulle spalle di milioni di cittadini ignari. Bocciare i Bot significa far aumentare i tassi d’interesse. La maggiorazione di spesa ricade ovviamente sui contribuenti. La credibilità ottenuta in questo modo viene spesa dalle agenzie di rating sul tavolo che veramente conta: il giudizio da assegnare alle banche, alle assicurazioni e, in genere, alle aziende private. Con un addendo: le aziende americane, tendenzialmente, sono migliori e più affidabili dei concorrenti. Perché? Perché anche le agenzie di rating sono americane e perché è americana la regola che le ha fatto diventare ricche. C’è una disposizione in base alla quale le istituzioni finanziarie, i fondi d’investimento e i piani pensionistici non possono acquistare obbligazioni priva di rating. Per le agenzie è stata la manna.
Queste disparità hanno provocato le prime reazioni: i cinesi si sono fatti l’agenzia di rating in casa. In Europa l’economista Jaean Paul Fitoussi ha lanciato una crociata sulla inattendibilità delle agenzie di rating. Mettendo anche in luce il fatto che fanno capo a grandi gruppi finanziari internazionali con interessi su molti mercati. A questo punto diventa forte il sospetto che i giudizi delle agenzie di rating divengano strumentali per governare gli investimenti dei rispettivi gruppi di controllo. Non c’è stata finora evidenza in merito. Ma a pensar male...

Nino Sunseri