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 2011  giugno 22 Mercoledì calendario

IL PD RISCOPRE IL ROSSO: HA UN BUCO DA 42 MILIONI


Il Pd per la prima volta da quando è nato si è preso una bella batosta finanziaria. Il bilancio 2010 pubblicato ieri in caratteri invisibili su L’Unità (e appena più leggibile su Europa) evidentemente per risparmiare carta e spese pubblicitarie, si è chiuso con un rosso da 42,8 milioni di euro che rappresenta un record negativo assoluto anche rispetto alla disastrata storia finanziaria di Pci-Pds e Ds.
Curiosamente le cose vanno peggio da quando segretario del partito è diventato Pier Luigi Bersani, che qualcosa di economia dovrebbe pure masticare. Il paragone gestionale è impietoso: nel 2008, con segretario Walter Veltroni, il partito chiuse l’esercizio con un utile di 146,4 milioni di euro. Nel 2009, con segretario per gran parte dell’anno Dario Franceschini le cose sono andate meno bene, ma comunque l’utile è stato di 22,3 milioni di euro. L’anno del segretario-economista è stato disastroso invece sotto il profilo finanziario.
Contributi galeotti
Colpa soprattutto della voce in uscita “contributi ad associazioni”, che è lievitata a 51,2 milioni di euro rispetto ai 4,1 milioni di euro del periodo Franceschini e ai 10 milioni di euro dell’era Veltroni. Quei contributi hanno una ragione comprensibile: nel 2010 ci sono state le elezioni regionali, e quindi il Pd ha dovuto rimborsare più del solito le spese di campagna elettorale alle strutture territoriali che le avevano sostenute, mentre la spesa a livello nazionale è stata stretta all’osso.
Sotto il profilo squisitamente amministrativo, il dato segnala ancora di più la pessima gestione finanziaria dell’era Bersani. Il Pd nel 2010 ha puntato risorse sulla campagna per le regionali assai più consistenti di quelle utilizzate sia per le politiche 2008 che per le europee 2009. E con il massimo della spesa storica ha ottenuto il peggiore risultato della sua storia, perdendo regioni che era certo di conquistare (Piemonte), sconfitto in Campania dove era più prevedibile ma aveva messo in campo il suo anti-Bassolino per eccellenza (Vincenzo De Luca), e sbeffeggiato nel Lazio da Renata Polverini che correva praticamente da sola non avendo potuto il Pdl presentare il proprio simbolo a Roma e provincia.
Bersani ha provato sulla sua pelle come non siano i soldi (al contrario di quel che pensavano sulle fortune politiche di Silvio Berlusconi) a fare la differenza in politica. Anche perché con la generosissima legge sui rimborsi elettorali tutti i partiti possono contare su risorse finanziarie pubbliche che sarebbero state la manna per imprese medio-grandi italiane durante i morsi della crisi economica.
Il solo Pd può contare (e li ha iscritti in bilancio sia come entrate la prima volta che come crediti nello stato patrimoniale) durante questa legislatura su poco meno di 300 milioni di euro pagati da tutti gli italiani. I fondi previsti dalla legge sono 4, e il Pd prende 80,5 milioni per i deputati eletti nel 2008 alla Camera, altri 87,9 milioni per i senatori eletti lo stesso anno, più 69 milioni di euro ottenuti con le europee del 2009 e infine 61,2 milioni di euro perle regionali dell’anno scorso. Non prenderà rimborsi invece per le recenti amministrative, né per i referendum visto che non ci aveva creduto all’inizio e il partito non era entrato nei comitati ufficiali per il sì.
Se lo Stato è generoso con tutti e una miniera d’oro per il Pd, il favore di sostenitori e militanti sembra assai più contenuto. Quest’anno i contributi da persone fisiche raccolti dal partito di Bersani sono ammontati a 6,1 milioni di euro. Sono compresi – si tratta della maggiore parte – anche gli oboli obbligatori che parlamentari ed eletti ogni mese girano alle casse del partito. Da imprenditori invece sono arrivati appena 200 euro, una vera miseria. All’epoca di Veltroni entrambe le voci erano più consistenti. Quella delle persone fisiche ammontava a 6,3 milioni di euro, e i contributi delle imprese invece erano di poco inferiori al milione e mezzo di euro. Si vede che con la svolta sinistra-sinistra bersaniana gli imprenditori oggi si tengono alla larga dal Pd.
Costi esorbitanti
Per capire il buco 2010 bisogna dare un’occhiata alle spese di gestione del partito. Sono più che raddoppiate rispetto all’epoca di Veltroni: 97,8 milioni contro i 44,8 di allora. A parte le risorse buttate via nella più infausta campagna elettorale della sinistra italiana, cominciano a lievitare i costi di funzionamento. Le spese per il personale sono passate dai 4,1 milioni di euro dell’era Veltroni ai 12,1 milioni di euro attuali. Anche perché con un accordo firmato nel 2010 sono stati presi in carico gli ultimi dipendenti della Margherita. Anche gli uffici si sono allargati. Oltre alla sede centrale, sono stati sottoscritti due contratti di affitto in via del Tritone e uno invia Palermo.

Fosca Bincher