Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  giugno 22 Mercoledì calendario

IL FATTO DI IERI - 22 GIUGNO 1926

Una gabbia dorata, un simil-sarcofago di urtante manierismo o, se si vuole, di eccelso kitsch. Grazie alle generose elargizioni del Duce, pronto a pagare lautamente l’acquiescenza del Vate nei confronti di un regime, in realtà disprezzato, il Vittoriale di D’Annunzio prende forma il 22 giugno ’26. Artefice della Santa Fabbrica, Gian Carlo Maroni, brillante allievo di Marcello Piacentini, che in cinque anni di lavori, sotto frenetica dettatura del poeta, trasformerà una villetta di campagna sulle rive del Garda in un costosissimo monumento alla ridondanza. Con trionfo di simboli edonistici, reliquie, feticci, raccolti in un labirinto di stanze barocche dai nomi onomatopeici e avvolte in penombre sepolcrali. “Tutto è qui da me creato o trasfigurato” dirà in uno dei suoi raptus, e in realtà il Vittoriale, nell’inquietante accozzaglia di stili e nell’ossessiva estetica del sovrabbondante, è una vera autobiografia vivente del Vate. “Testamento d’anima e di pietra donato all’amata Italia” e cupo regno dell’“horror vacui” dove, in una girandola di “badesse di passaggio” e sempre più preda della “polvere folle”, celebrerà la sua consunzione. “Ogni uomo seppellito è il cane del suo nulla”. Il suo ultimo verso.