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 2011  giugno 22 Mercoledì calendario

AGROMAFIA, BUSINESS DA 12 MILIARDI - C’è

un convitato di pietra sulle tavole degli italiani: la criminalità organizzata. Dopo le estorsioni, i traffici di droga e lo smaltimento dei rifiuti, i tentacoli delle cosche si sono allungati anche sull’agroalimentare made in Italy. Tanto che il procuratore nazionale Antimafia, Piero Grasso, si spinge a dire «che aggiungiamo un posto a tavola a questo convitato ogni volta che acquistiamo un pomodoro o un cesto di lattuga». I numeri sono da brivido: secondo il primo rapporto Eurispes-Coldiretti presentato ieri a Roma, nel 2009 l’agromafia ha fatturato 12,5 miliardi, di cui il 70% (3,7 miliardi) reinvestiti in attività illecite.

La presenza della criminalità si avverte nei comuni furti di attrezzature e mezzi agricoli, nell’abigeato, nelle macellazioni clandestine. Ma l’evoluzione della holding criminale si è estesa anche dal racket e dall’usura al saccheggio del patrimonio boschivo, al caporalato, alle truffe ai danni dell’Unione europea. «Così – denuncia il rapporto – la mafia consolida il proprio ruolo di industria della protezione-estorsione assumendo di fatto il controllo politico ed economico dell’impresa e dell’imprenditore».

È un business miliardario quello stimato da Eurispes (220 miliardi in totale, l’11% del Pil) che affligge il Sud ma non risparmia il Nord: la Sicilia guida la classifica delle riscossioni illecite dei premi comunitari (oltre 34 milioni milioni) seguita, però, da Lombardia (circa 25 milioni), Friuli Venezia Giulia (14,26) e Piemonte (12,42). Nessuna regione sembra schivare il pericolo delle infiltrazioni: nel Lazio la Direzione investigativa antimafia (Dia) segnala il coinvolgimento delle cosche nella gestione degli affari del mercato ortofrutticolo di Fondi, in provincia di Latina, mentre indagini più recenti confermano l’arrivo della criminalità organizzata anche in Umbria.

Insomma, una situazione insostenibile che chiede un’immediata presa di coscienza da parte delle istituzioni. «Anche perché i danni al sistema sociale ed economico – denuncia il presidente della Coldiretti, Sergio Marini – che vanno dal pericolo per la salute dei consumatori all’alterazione del regolare andamento del mercato rischiano di essere irreversibili».

La «Mafia spa» con la sua rete di imprese collegate, secondo la Dia, condiziona e controlla l’intera filiera agroalimentare «dalla produzione agricola all’arrivo della merce nei porti, dai mercati all’ingrosso alla grande distribuzione, dal confezionamento alla commercializzazione». Così, spiega Grasso, un’anguria viene pagata 10 centesimi al chilo agli agricoltori. Poi, attraverso un «monopolio di trasformatori e distributori controllato dalla criminalità viene rivenduto a 1,10 euro/kg oppure 2 euro/kg nelle ricche aree del Nord. Ed è chiaro che se dal contadino alla tavola ci sono 10 passaggi, il prezzo di mercato sarà quello che soddisfa gli interessi di tutti coloro i quali intervengono nella filiera. Ridurre le intermediazioni, dunque, e promuovere i mercati degli agricoltori non può che abbassare i prezzi».

Ma per arginare il potere crescente delle cosche, secondo Grasso, occorre anche un maggior coordinamento tra magistratura e forze di polizia e inserire la sofisticazione, che oggi ha tempi di prescrizione cortissimi, tra i reati di mafia. «In questo modo – spiega – possiamo utilizzare i metodi di indagine tipici dei reati di mafia e non fermarci più ad arrestare l’autista del camion se troviamo una bolla falsificata ma arrivare alle teste dell’organizzazione».

Dal canto suo Raffaele Guariniello, magistrato della Procura della Repubblica di Torino, ha lanciato la proposta di creare una procura nazionale contro le frodi alimentari («con la globalizzazione il crimine viaggia alla velocità della luce mentre noi siamo fermi alla diligenza») mentre per Luca Palamara, presidente dell’Associazione nazionale magistrati, «la depenalizzazione dei reati non può riguardare i reati alimentari».