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 2011  giugno 22 Mercoledì calendario

PREZZI DEL CIBO. L’ORA DEL LIMITE A CHI SPECULA


Esiste la fame dovuta a scar­sità di cibo e la fame artifi­ciale, frutto della specula­zione finanziaria sui beni alimen­tari. Secondo Olivier De Schutter, relatore speciale delle Nazioni U­nite per il diritto al cibo, è giunto il momento di porre qualche ri­medio alla seconda. Il momento è propizio: oggi e domani si riuni­scono a Parigi i ministri dell’Agri­coltura del G20, e quest’anno il summit ha messo la sicurezza a­limentare in cima all’agenda, an­nunciando che affronterà il pro­blema della volatilità dei prezzi dei prodotti agricoli. «Questo G20 rappresenta un’occasione unica per introdurre regole che frenino la speculazione sfrenata sul cibo alla quale abbiamo assistito negli ultimi mesi», afferma De Schut­ter. «Se le principali economie del Pianeta trovassero un accordo, sa­rebbe un primo passo davvero im­portante ». Secondo i dati dell’Agricultural

Outlook, presentato dalla Fao e dall’Ocse il 17 giungo a Parigi, nel prossimo decennio 2011-2020 i mercati dovranno fare i conti con un aumento medio del 20% del prezzo dei cereali e del 30% di quello della carne. A preoccupa­re la Fao, negli ultimi dieci mesi, è stata soprattutto la volatilità dei prezzi dei beni alimentari, fatta di improvvise impennate: da giugno 2010 il prezzo globale dei cereali è raddoppiato, registrando un balzo del 71% nel mese di aprile. Era già successo nel biennio 2007-2008: i prezzi di alcuni cereali lie­vitarono del doppio e in qualche caso addirittura quadruplicaro­no. Poi, in meno di sessanta gior­ni, tornarono ai valori iniziali. Se­condo ormai diversi studi in que­ste improvvise variazioni gioca un ruolo importante, anche se non unico, la speculazione finanzia­ria legata alla compravendita di titoli derivati legati ai beni ali­mentari e le scommesse sui futu­res ,

ovvero quei contratti che fis­sano oggi il prezzo con cui un o­peratore si impegna ad acquista­re domani un certo bene, per e­sempio il grano. «Questi strumenti hanno una fun­zione utile finché permettono ai produttori e ai commercianti di proteggersi dai rischi e di sapere su quale prezzo base effettuare gli scambi – spiega De Schutter –, ma da una decina d’anni i mercati fi­nanziari hanno cominciato a vi­vere di una vita propria, metten­do in secondo piano il mercato reale». La compravendita di titoli derivati legati ai beni alimentari in alcuni casi si traduce in una specie di gioco d’azzardo. «Quan­do gli operatori privati o istituzio­nali vedono che un gran numero di contratti futures sono scambia­ti, e che altri attori finanziari stan­no scommettendo sugli aumenti dei prezzi, tendono al panico – di­ce il responsabile Onu – così ri­tardano le vendite, stoccano il ci­bo, perché credono di essere di fronte a una scarsità. Se tutti i ven­ditori trattengono i loro stocks e tutti i compratori cercano di crearsene, si crea una scarsità artificiale: c’è ab­bastanza cibo, ma ce n’è troppo poco sui mercati fi­nanziari che compratori interessati possono acqui­stare. Il risultato è che i prezzi impennano, e que­sto può essere completa­mente slegato dal fatto che ci sia o meno disponibilità di cibo: può essere solo il risultato della spe­culazione finanziaria, ma tutto questo influenza di fatto le rea­zioni dei commercianti e dei go­verni sui mercati fisici. Dopo al­cuni mesi la legge della domanda e dell’offerta legata alla disponi­bilità reale dei prodotti riprende il sopravvento, la bolla esplode, il panico finisce. Ma nel frattempo i Paesi poveri, soprattutto quelli che dipendono per la propria si­curezza alimentare dall’importa­zione di cibo, sono andati incon­tro a enormi problemi e molte fa­miglie sono entrate nel circolo vi­zioso della povertà perché non so­no più riuscite a soddisfare i propri bisogni alimentari». La Banca Mon­diale stima che dal giugno del 2010 a maggio di quest’anno 44 milioni di persone nel mondo siano caduti nella povertà come conseguenza dell’aumento dei prezzi del cibo. Quali allora le possibili soluzioni? «È necessario che i mercati finan­ziari funzionino in modo più tra­sparente e che rispettino alcune regole – afferma De Schutter –. Si potrebbero per esempio intro­durre dei ’limiti di posizio­ne’ nei confronti degli operatori, in modo che non possano detenere un numero illimitato di titoli de­rivati e sconvolgere con il loro pe­so puramente finanziario i mer­cati. Dopo un periodo di derego­lamentazione, gli Stati Uniti han­no tentato di introdurre delle re­gole, con la Wall Street Reform del 2010 e con il Consumer Protection Act , ma una forte lobbying del set­tore finanziario e della maggio­ranza repubblicana nel Congres­so sta ora rendendo difficile at­tuarle. L’Unione europea sta ten­tando, tardi, di fare qualche pro­gresso. Sarà molto importante se il G20 troverà un accordo su que­sto punto: non si dovrebbe la­sciare che i mercati causino di­struzione, ed è responsabilità dei governi esercitare un’appropriata supervisione».