Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  giugno 22 Mercoledì calendario

Che stress per i genitori nascosti sotto le onde - Fare i genitori è il mestiere più duro. E’ così per noi umani sulla terraferma ed è così per gli organismi che popolano il mare, sebbene in modo completamente diverso

Che stress per i genitori nascosti sotto le onde - Fare i genitori è il mestiere più duro. E’ così per noi umani sulla terraferma ed è così per gli organismi che popolano il mare, sebbene in modo completamente diverso. Certo, lo scopo dei genitori è unico, cioè la sopravvivenza della prole, ma le strategie possono cambiare, a seconda della specie considerata. Nel mondo dei pesci, in particolare, il ruolo dei genitori si declina in una straordinaria moltitudine di forme. «C’è un’altissima varietà nel comportamento riproduttivo e di cura della prole negli organismi marini, che varia a seconda delle specie e del contesto - spiega Maria Berica Rasotto, biologa dell’Università di Padova, che a Gorizia è stata protagonista della conferenza “Genitori nel blu”, organizzata nell’ambito della mostra “L’albero della vita” -. La mancata conoscenza diretta della varietà degli ambienti e della vita degli organismi marini ci ha portato spesso a sfruttarli, basandoci su poche informazioni, approssimative e spesso errate». È diffuso, per esempio, il luogo comune secondo il quale gli organismi marini sono molto fecondi, rilasciano milioni di uova in mare e, una volta schiuse, possono colonizzare ambienti distanti migliaia di chilometri dal punto del rilascio. «Non è così – dice Rasotto – o almeno non è così per tutti gli organismi. Gli squali, per esempio, fanno pochi figli: una delle specie più feconde, il Palombo, partorisce al massimo 20-25 piccoli». Certo, ci sono animali marini che ne fanno anche milioni. «Si pensa che il pesce luna deponga circa 300 milioni di uova - precisa la biologa – ma questo non significa che tutti gli organismi ne producano quantità così elevate». Anche il comportamento riproduttivo degli organismi marini è un universo caleidoscopico. «Pensiamo che fare i figli – aggiunge la studiosa – sia un atto di cooperazione. Non necessariamente è così e negli animali marini è evidente che accudire la prole è biologicamente costoso, tanto che ciascuno dei due sessi tende a scaricare la fatica sull’altro». Un fattore importante nel determinare chi accudirà i piccoli sembra essere l’ordine con cui vengono emessi i gameti. Così, nelle specie a fecondazione interna, sono le femmine che, ricevuti gli spermatozoi, curano le uova o i piccoli, scavando dei nidi, come nel caso delle tartarughe marine, o trattenendole al loro interno fino al parto. Al contrario, in molte specie di pesci che vivono in zone costiere, e che durante il periodo riproduttivo difendono un territorio o un nido, è il maschio a rilasciare per ultimo gli spermatozoi, fecondando le uova deposte dalle femmine. Così è il maschio a rimanere «incastrato» e a sobbarcarsi il peso della crescita della prole. Rasotto, in un articolo pubblicato su «Functional Ecology», ha mostrato come le bavose maschio, della specie Salaria pavo, producano, in una coppia di piccole ghiandole della pinna anale, degli antimicrobici che, spalmati sulle uova, le proteggono dalle infezioni. Senza questa specie di gel protettivo solo il 30% delle uova arriverebbe alla schiusa. «Abbiamo lavorato cinque anni - racconta la biologa - e abbiamo scoperto a cosa serviva quella ghiandola. Non solo: abbiamo provato che le femmine preferiscono i maschi che hanno la ghiandola più sviluppata e che, dunque, assicurano meglio il compito di preservare le uova». Ma esempi di papà così premurosi non si fermano alle bavose. E infatti costruiscono nidi e curano le uova anche i ghiozzi e le castagnole. C’e’ poi chi le uova se le porta addosso, come i maschi del re di triglie, che poi le tengono in bocca, e quelli del cavalluccio marino, che le incubano in una tasca sul ventre. Tuttavia ci sono anche mamme marine interessate alla loro prole e non solo tra i mammiferi marini come delfini, balene e orche. Nei polpi, per esempio, le femmine stanno con le uova fino alla schiusa, non si nutrono e poi muoiono. «La femmina del calamaro di profondità, la Gonatus onyx, si prende cura delle uova fecondate – spiega Rasotto - portandosele dietro dentro un enorme sacco». La femmina fa uno sforzo enorme per nuotare con questo peso, ma lo fa lo stesso per assicurarsi la sopravvivenza della prole. Ma anche in acque più superficiali, tra granchi, gamberi, aragoste e astici, non mancano le madri amorose: in queste specie, infatti, le femmine si portano le uova addosso, attaccate al ventre, proteggendole e ossigenandole fino alla schiusa. «Sott’acqua – conclude la scienziata - non esiste un unico modello di genitorialità. Basta con gli stereotipi. La natura può andare al di là della più fervida immaginazione».