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 2011  giugno 22 Mercoledì calendario

“Emanuela Orlandi è viva” Il fratello la cerca a Londra (2 articoli) - Pietro Orlandi, 28 anni fa scompariva sua sorella Emanuela, cittadina vaticana

“Emanuela Orlandi è viva” Il fratello la cerca a Londra (2 articoli) - Pietro Orlandi, 28 anni fa scompariva sua sorella Emanuela, cittadina vaticana. La procura di Roma ha ripreso a indagare su un caso che lungo quasi da tre decenni è diventato un intrigo internazionale. Cosa le fa credere che sia ancora viva? «La speranza non ci abbandona mai. Non abbiamo ovviamente certezze, ma dubbi su come sono state svolte le indagini e sui troppi depistaggi sì. Non intendiamo lasciare nulla di intentato e continueremo a batterci per la verità. Il primo a dirci, la vigilia del Natale 1983, sei mesi dopo la scomparsa, che Emanuela era stata vittima del terrorismo internazionale è stato papa Wojtyla. Il pontefice, mica una fonte qualsiasi. È evidente che si riferiva alle tensioni tra i due blocchi, Est e Ovest, come poi è emerso dalle rivendicazioni. Come si fa a non credergli?». La settimana scorsa ha trovato un’inattesa conferma la tesi sostenuta da lei e dal giornalista Fabrizio Peronaci nel libro «Mia sorella Emanuela» (edizioni Anordest), cioè che Emanuela sia ancora viva. «Io so dov’è, si trova in un manicomio in Inghilterra, nel centro di Londra, ed è sempre stata sedata. Con lei ci sono due medici e quattro infermiere». Un sedicente ex agente del Sismi dal nome in codice «Lupo» è intervenuto in diretta tv su Roma Uno ad un dibattito al quale lei partecipava. La questura ha disposto l’acquisizione del filmato. Si attende sviluppi? «Sono a Londra per questo. Anche se la probabilità di ritrovare Emanuela qui, in Inghilterra, è una su mille, un familiare non ha altra scelta: segue d’istinto le ragioni del cuore. Occorre verificare di persona, percorrere ogni pista. Questo sedicente agente, comunque, mi ha dato l’impressione di essere ben informato sulla vita e le ombre dei servizi segreti italiani, e c’è un particolare che mi induce a pensare che sappia qualcosa in più». A cosa si riferisce? «Questa persona ha chiamato in causa un altro agente abitante a Merano, Argo 3, che avrebbe visto Emanuela un anno fa. Proprio in quel paese dell’Alto Adige, guarda caso, era residente un funzionario del Sismi in servizio a Monaco nel 1983, che fu sospettato del sequestro in seguito alla testimonianza di una donna che riconobbe in Emanuela una ragazza scesa da una A112, stanca e sedata, nel comune di Terlano, vicino Bolzano, un mese e mezzo dopo la scomparsa. Dove la stavano portando? La direzione era la Germania, attraverso la quale poi mia sorella sarebbe giunta in Inghilterra? È una delle tracce sottovalutate che abbiamo evidenziato nel libro». L’ultima pista, con tre indagati, riguarda la banda della Magliana ed è legata al ruolo avuto dal boss «Renatino» De Pedis che, secondo la sua ex amante, avrebbe fatto rapire Emanuela e poi avrebbe gettato il corpo in una betoniera, su ordine di monsignor Marcinkus. Si aspetta sviluppi decisivi? «Spero solo che gli accertamenti vadano fino in fondo, compresa l’apertura della tomba di De Pedis sepolto incredibilmente nella basilica di Sant’Apollinare. Se verrà dimostrato che la banda della Magliana ha avuto un ruolo nel prelevamento di Emanuela, con un compito di manovalanza, noi saremo grati agli inquirenti per il lavoro svolto. Ma sappiamo anche che non si può chiudere qui l’inchiesta: occorre proseguire per scoprire i mandanti». Lo scorso anno, subito dopo la scarcerazione, lei ha incontrato a Istanbul Alì Agca. Quali elementi utili ha ricavato dal colloquio con l’attentatore di Giovanni Paolo II? «Non sta a me giudicare se quanto mi ha riferito sarà utile, o magari decisivo per scoprire cosa è successo. Sicuramente, vorrei venisse preso in considerazione. Alì Agca mi è parso una persona completamente diversa dal visionario che abbiamo visto tante volte in tv, mi ha raccontato la sua versione del sequestro, precisando i mandanti, e anche un percorso che possa creare le condizioni per liberare Emanuela. Lui afferma che Emanuela è viva, però non indica un posto preciso. Ha parlato di un Paese europeo». Ha potuto riferire agli inquirenti gli elementi di novità acquisiti nel faccia a faccia con Alì Agca? «Ancora no: nonostante alcune mie interviste, non sono ancora stato convocato per la verbalizzazione. La mia speranza è che la magistratura acquisisca i contenuti del colloquio e compia tutti gli accertamenti possibili». Sua madre Maria lo scorso primo maggio era in piazza San Pietro alla beatificazione di Karol Wojtyla. Cosa vi disse il Papa quando venne a casa vostra pochi mesi dopo la scomparsa di Emanuela? «Giovanni Paolo II era molto addolorato. Ci portò in regalo un bassorilievo della Madonna di Lourdes e un cesto con specialità natalizie. Abbracciò tutti noi, uno ad uno. Poi pronunciò quella frase sul terrorismo internazionale quasi per metterci sull’avviso: ho la sensazione che sfruttò quell’occasione privata per dirci il suo pensiero, per esprimersi liberamente. Nel Vaticano, lo sanno tutti, all’epoca c’erano due fronti: falchi e colombe». Lei, sua madre e le sue sorelle avete scritto una lettera a Benedetto XVI per chiedere un gesto di chiarezza della Santa Sede. Avete avuto risposta? «Siamo certi che gli sia stata consegnata e confidiamo in un intervento del Santo Padre. Dopo tanti anni, contrassegnati anche dalla scarsa collaborazione e dalle reticenze dello Stato Vaticano, ci aspettiamo un’iniziativa forte, un pubblico appello perché coloro che sanno si mettano una mano sulla coscienza e finalmente parlino, per liberarci da quest’incubo che dura da 28 anni». GIACOMO GALEAZZI *** UN FILO TROPPO ESILE PER POTER TORNARE A SPERARE - È umanamente comprensibile che la famiglia continui a nutrire speranze ma se Emanuela Orlandi fosse veramente viva avrebbe trovato il modo di dare segni della sua permanenza in vita. Da quasi tre decenni la procura di Roma lavora a tutto campo, su scala internazionale seguendo ogni possibile traccia in grado di ricondurre alla ragazza quindicenne, sparita il 22 giugno del 1983 e mai più ritrovata. Investigatori e inquirenti non hanno mai tralasciato alcuna strada che potesse favorire il ritrovamento. Niente di intentato, nessuna flessione di interesse. Sempre e ovunque si sono vagliate indicazioni e sondato ambienti dai quali potessero giungere elementi utili alle indagini. E così si continua a fare con la massima serietà. Il rapimento della cittadina vaticana appare sotto molti aspetti come un ricatto alla Santa Sede in una fase delicatissima della Guerra Fredda, quella successiva all’elezione del Papa polacco: un forte dato di novità, capace di riscrivere consolidati equilibri geopolitici a livello planetario. Il rapimento avviene in un momento storico nel quale al ruolo centrale del Vaticano guardavano con pressante attenzione i servizi segreti e i poteri contrapposti dei due blocchi dell’Est e dell’Ovest. In questi 28 anni, sulla scomparsa di Emanuela Orlandi sono emerse tante strade, tante piste, che però sono cadute tutte perché nessuna ha mai avuto un riscontro oggettivo. Mi riferisco soprattutto alla pista dei Lupi Grigi, una pista della quale forse si impossessò un qualche servizio, un servizio dell’Est, secondo quello che risultava a quei tempi, per ricattare la figura del Papa. Nel corso delle molteplici rogatorie all’estero sono stati interrogati numerosi Lupi grigi che operavano in Austria, Germania, Francia e Svizzera. Questi ultimi, in particolare erano stati individuati ed arrestati a seguito di una complessa operazione internazionale condotta dalla polizia federale elvetica e dalle autorità giudiziarie di Basilea. Questa operazione era definita «Mais Kolben» e fu incentrata prevalentemente sulla repressione di un traffico durato più anni dall’Asia verso l’Europa di ingenti quantitativi di eroina, i cui ricavati servivano per sovvenzionare l’organizzazione armata. Nel corso delle rogatorie furono interrogati ed arrestati altri cittadini turchi residenti in Svizzera. Alcuni di loro manifestarono nel corso degli interrogatori, ipotesi circostanziate sull’esistenza in vita di Emanuela Orlandi e sui luoghi dove essa si sarebbe potuta trovare e queste dichiarazioni sono agli atti della relativa inchiesta italiana. Quel che è certo, comunque, è che non sono mai emersi elementi concreti che provassero un legame tra l’attentatore di Giovanni Paolo II, Alì Agca e il caso Orlandi. All’origine della scomparsa potrebbe esserci, quindi, anche un prestito della Banda della Magliana per la causa di Solidarnosc. Un movente plausibile dietro la vicenda è costituito da un «tesoretto» di 15-20 miliardi di lire per cui c’era un’istanza di restituzione. La banda della Magliana probabilmente voleva rientrare in possesso delle somme che non erano state restituite. * Giudice istruttore presso il Tribunale di Roma all’epoca del processo sull’attentato a Giovanni Paolo II