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 2011  giugno 21 Martedì calendario

E SE UN PO’ DI STRESS FACESSE STARE MEGLIO?

Buone notizie per chi lavora troppo, è sempre in corsa contro il tempo, deve giostrarsi come un equilibrista tra carriera e famiglia, e dovendo scegliere come autodefinirsi direbbe: sono stressato. Lo stress fa bene. Mantiene la mente agile, dà un senso di intima soddisfazione e contiene la promessa di una vita più lunga.
Quindi mettete da parte il sogno bucolico di un´esistenza rilassata, lasciate perdere la speranza di trovare un paradiso terrestre lontano dal logorio della vita quotidiana e accettate le tensioni per quello che sono: una cura, non una malattia, per l´uomo e la donna moderni.
Questo sostiene, perlomeno, un controverso libro pubblicato in questi giorni: Rush, why you need and love the rat race (Fretta, perché se ne ha bisogno e amiamo la corsa al successo). L´autore, Todd Buchholz, non è un medico né uno psicologo, bensì un economista, ex consigliere della Casa Bianca, che un giorno si è messo a fare ricerche per un libro sulla gente «che rincorre il successo e finisce per vendersi l´anima». Ma poco per volta, raccogliendo materiale, ha cambiato idea. E si è convinto che, invece di rallentare, abbiamo bisogno di buttarci nella rat race, alla lettera la corsa dei topi, sentire l´adrenalina nelle vene e usare lo stress come un piacere, anziché lamentarcene.
È una tesi che va contro l´opinione dominante del nostro tempo. Dall´America all´Europa, l´Occidente appare sempre più stanco, stressato e dubbioso: ne vale la pena?, si chiedono in tanti. Manuali e studi autorevoli rispondono che no, non vale la pena di ridursi così per restare a galla nella sfida della globalizzazione e che occorre andare più piano, imparare ad apprezzare i piccoli piaceri della vita, senza ritirarsi necessariamente a vivere in campagna ma facendo perlomeno uno sforzo mentale in quella direzione. È quel che afferma in Happiness, lessons form a new science (Felicità, lezioni da una nuova scienza) lord Layard, il sociologo che dal 2006 dà consigli al governo britannico. Sia il premier David Cameron che il presidente francese Sarkozy hanno annunciato programmi per tenere conto del "benessere" sociale non più solo in termini di reddito, accogliendo in parte i suoi suggerimenti. Statistiche della Work Foundation indicano che in effetti lavorare troppo fa male: chi lavora più di 11 ore al giorno ha due terzi di probabilità in più di soffrire di disturbi cardiaci rispetto a chi ne fa 7-8.
Eppure il libro di Buchholz raccoglie anche consensi. «Trovo che dedicarsi al lavoro, se il lavoro che fai ti piace, sia più gratificante che riposare», commenta Lucy Kellaway sul Financial Times, sottolineando che tanti di noi si sentono peggio la domenica o quando sono in vacanza che nei giorni lavorativi. «Quella di Buchholz è una provocazione, una reazione contro i discorsi politicamente corretti e alla moda sull´esigenza di trovare un equilibrio tra vita privata e lavoro», concorda Oliver Burkman, autore di un volume simile, Help! How to become slightly happier and get a bit more done (Aiuto! Come diventare un po´ più felici e fare un po´ più di cose). «In realtà» aggiunge «pochi trovano il sospirato equilibrio, lo stress fa parte della nostra vita e chi lavora 12 ore al giorno non è per forza un infelice». Forse la verità sta nel mezzo: «Un moderato stress aiuta a lavorare con più efficienza e dà un maggior senso di realizzazione, può migliorare le funzioni cardiache e rendere il corpo più resistente alle infezioni», dice alla Bbc Ben Willmott, consulente del Chartered Institute for Personnel and Development, «ma una prolungata esposizione allo stress porta a tutta una serie di malattie».
Può darsi che un po´ di stress faccia bene o comunque possa essere digerito come un ingrediente naturale della vita d´oggi, insomma, ma meglio non esagerare.