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 2011  giugno 21 Martedì calendario

IL FASCINO DEL FUNZIONARIO

E se Talleyrand – il politico che, "zoppicando come il diavolo", aveva giurato fedeltà a tredici regimi successivi – fosse stato un "principe costante"? Gli indizi sono sparsi nelle incantevoli Memorie che possiamo ormai leggere in italiano a cura di Vito Sorbello per Aragno (1728 pagine in cinque volumi, 150 euro). Indizi che ci mostrano, con tutti i limiti e le prepotenze, l´immagine di un uomo che sognò di essere il Grande Funzionario di un progetto grandioso: le ragioni della Francia, le ragioni dell´Europa. Furono, queste Memorie, l´ultima sua "faccenda", e assai delicata: ritoccare "l´immagine corrusca del Male" (come dice Roberto Calasso nella Rovina di Kasch) che aveva deliberatamente incarnato. Sottilmente queste pagine suggeriscono lunghe e tenaci amicizie, e forti e costanti visioni politiche: la libertà di culto, la certezza delle finanze, un´Europa delle coesistenze e della legittimità – intesa come trasfusione delle conquiste storiche nel peso delle tradizioni.
Subito queste Memorie mostrano il lato d´ombra, sensibile, dell´uomo "insondabile". Suggeriscono l´infanzia solitaria di un bambino che, cadendo da una credenza, si storce un piede, e viene così condannato alla carriera ecclesiastica da genitori che non ha quasi mai visto. Si parla dei suoi collegi deserti ("una diligenza venne a prelevarmi; non passai dalla casa dei miei prima di partire, e ripeto qui che sono forse l´unico uomo di natali distinti che non ha avuto, una settimana della sua vita, la delizia di trovarsi sotto il tetto paterno"). "Aveva degli amici come si hanno dei cani" si è detto; leggiamo ora che, quando l´unico compagno degli studi, Choiseul, torna rovinato in Francia, Talleyrand gli scrive: "Dobbiamo riparare la perdita di diciotto anni di tenerezze", e continua nei decenni a venire a proteggerlo.
L´altra fedeltà è alla sua classe. Talleyrand, nato nel 1754, aveva i modi del regno di Luigi XV; morì il giorno dell´avvento al trono della regina Vittoria, senza aver mai dismesso le grazie del Settecento. Il casato dei Talleyrand-Perigord era augusto; un conte di Périgord era stato così arrogante da non levarsi il cappello davanti a Pietro il Grande, col risultato che glielo avevano inchiodato in testa. Gran Ciambellano dell´Antico Regime, Talleyrand era "entrato in rivoluzione in calze di seta". Il successo mondano, ai tempi di Luigi XV, era una questione di sprezzo e freddezza; e nasce per Talleyrand a una cena da madame de Gramont, che gli chiede, da un lato all´altro della tavola, cosa mai lo aveva colpito entrando, per cui aveva esclamato: "Ah, Ah". "Madame la duchesse non ha sentito bene", le risponde Talleyrand: "non ho detto: Ah, Ah, ma: Oh, Oh". Era il genere di spirito "Mortemart", il casato della nonna: così arrogante da simulare la stupidità. Arrivarono gli inviti; le memorie descrivono i salotti, tacendo che le salonnières che lo avrebbero sostenuto in politica ("bisogna far marciare le donne") erano altrettante amanti. Nella lunga carriera, Talleyrand sarebbe passato dalle signore alle figlie, alle nuore, alle nipoti. Era ancora vescovo d´Autun, quando fu sorpreso in casa di madame de Flahaut, che accoglieva i visitatori in vasca da bagno, e sussurrava di lui: "non fortiter in re, ma suaviter in modo". Al Congresso di Vienna, Talleyrand non portò la moglie, ma la "magra" contessa di Dino, di trentasei anni più giovane, figlia di una sua amante, e sposa di un suo nipote. E´ a lei che legherà le Memorie, fitte di documenti, e insieme di impalpabile grazia – vi si sorride, senza un commento, alle pretese di Napoleone: al primo incontro, il generale Bonaparte, col pallore e i capelli scompigliati delle prime vittorie, gli dice subito: "Voi siete nipote dell´arcivescovo di Reims: ho anch´io uno zio che è arcidiacono in Corsica; voi sapete che essere arcidiacono in Corsica è come essere vescovo in Francia".
La leggenda nera del traditore e dell´apostata era nata quando, da agente generale del clero, Talleyrand aveva promosso la vendita dei beni ecclesiastici. Nel Concordato tra Napoleone e la Chiesa il cattolicesimo sarà, per suo volere, "religione della maggioranza", e non culto di stato. La libertà di coscienza è ribadita, alla caduta di Napoleone, nella Carta Costituzionale che Talleyrand, strappa a un governo "che coincideva col suo tavolo di whist", accanto all´inamovibilità dei giudici (sconfessata dall´attuale diritto francese), e alla libertà di stampa. La certezza delle Finanze è un principio che Talleyrand trascina da un punto all´altro della Storia: il debito pubblico dell´Impero è garantito, le vendite delle proprietà nazionali mantenute, le pensioni militari conservate.
"Quando non cospira, Monsieur de Talleyrand traffica", diceva lo scrittore Chateaubriand. Alla fine di queste memorie – l´apparato di Vito Sorbello, non nuovo a imprese traduttive quasi sovrumane, e che qui si appoggia ai migliori lavori degli ultimi anni (in specie quelli di Emmanuel de Waresquiel) risultandone dotto e vivissimo – Talleyrand dichiara: "Non sono mai stato uomo di partito". Ma siamo lontani dalla tradizione del trasformismo italiano; Talleyrand dà l´esempio del funzionario di Stato che ispira e crea la Storia. Muore "dando all´Europa la sua futura capitale, Bruxelles" (Sorbello): e ancora tratta col Papa il perdono. Era stato sposato, ma offrì all´estrema unzione – ultima fedeltà – il dorso della mano e non il palmo, secondo il rituale prescritto per i vescovi.