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 2011  giugno 21 Martedì calendario

E cosa racconteremo/ ai figli che non avremo/ di questi cazzo di Anni Zero?» È con versi simili, icastici e definitivi, che il 27enne Vasco Brondi è diventato cantore di una generazione precaria e arrabbiata

E cosa racconteremo/ ai figli che non avremo/ di questi cazzo di Anni Zero?» È con versi simili, icastici e definitivi, che il 27enne Vasco Brondi è diventato cantore di una generazione precaria e arrabbiata. Il suo progetto musicale si chiama Le Luci della Centrale Elettrica. Il disco della consacrazione è vecchio di tre anni ( Canzoni da spiaggia deturpata ) e nasceva da un demo grezzo del 2007, ripulito e potenziato da Giorgio Canali, ex chitarrista di CSI e PGR. Nel 2010 è uscita l’opera seconda, Per ora noi la chiameremo felicità . Il titolo è una citazione da Leo Ferrè, i brani sembrano tracce scartate dal lavoro precedente. Sensazione ribadita dal vivo. Giovedì 7 luglio suonerà al Traffic di Torino, lo stesso giorno di Francesco De Gregori (per lo scrittore Marco Lodoli, ne sarebbe l’erede). Lo scorso inverno c’era stato un tour teatrale, che aveva dimostrato come Brondi ignorasse la liturgia teatrale: freddo, impacciato, fuori luogo. Meglio quando deve suonare in piccoli locali, come sabato a Castiglione del Lago. Tra il pubblico, preparatissimo, compare uno striscione con la gigantesca scritta «Coop», tributo a una composizione del cantautore ferrarese. Qualcuno urla «Sei tu il vero Vasco!», altri azzardano paragoni con Giovanni Lindo Ferretti e Rino Gaetano. La presenza scenica è migliorata. Il concerto dura appena un’ora, ma è abbastanza per avvertire il deja vu. Brondi divide brutalmente. Per alcuni è un genio, per altri un sopravvalutato. Purtroppo pare già vittima dei suoi cliché. Ciò che all’inizio rientrava in una cifra stilistica meritoria urgenza di raccontare il presente, arrangiamenti scarni, testi saturi di nonsense, allegorie, paradossi, cortocircuiti semantici - sembra ora clonazione di se stesso. Musicalmente gli ultimi brani sono di povertà disarmante, si salvano giusto i due singoli ( Cara catastrofe eQuando tornerai dall’estero ). Canali, che non lavora più con lui, lo recensì così: «Monocorde pallosissimo dal punto di vista musicale. Per scrittura e brillantezza mentale è fantastico». Anche la reiterata alternanza voce pulita/voce «megafonata», alla lunga, stanca. Ogni volta che comincia una canzone, sembra la prosecuzione della precedente. Si somigliano tutte: partenza lenta, progressione urlante. I continui calembour e cut-up alla William Burroughs («La notte atomica che ci ha rimboccato le palpebre/ (..) arrampicarsi sulle impalcature per prendere il sole e rivenderlo a qualche spacciatore/ lavarsi i denti con le antenne della televisione») lambiscono l’effetto autoparodistico involontario. Non a caso, in Rete, esistono esilaranti «generatori automatici di testi di Vasco Brondi». Forse è lui il primo a stupirsi del successo (di nicchia, ma neanche tanto: libro con Baldini & Castoldi, Targa Tenco, tour con Jovanotti). Forse ha giocato subito il jolly, dicendo tutto quello che aveva da dire nel 2008. E adesso, tra la paura legittima di divenire un «Moccia degli sciroccati» e l’ambizione a una carriera dignitosa, non sa cosa fare: dove provare ad approdare. Pochi dischi italiani, nell’ultimo decennio, sono stati brutali e preziosi come Canzoni da spiaggia deturpata . Le perle non mancavano ( Piromani, La lotta armata al bar, Per combattere l’acne ). Brondi rischia però di rivelarsi una meteora istintiva e nevrile. Genialoide, ma pur sempre meteora.