Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  giugno 21 Martedì calendario

La sorpresa più bella è Marilyn Monroe, in costume rosa di lastex e con un ombrello a pois, saltata fuori inaspettata dalle carte dell’archivio storico Pirelli

La sorpresa più bella è Marilyn Monroe, in costume rosa di lastex e con un ombrello a pois, saltata fuori inaspettata dalle carte dell’archivio storico Pirelli. Ma la mostra «L’anima di gomma», aperta alla Triennale da oggi al 24 luglio, ideata da Alessia Magistroni su progetto scenografico di Studio N!03 e grafica e art direction di LeftLoft, è tutta da scoprire. A cominciare dal nome, con quel riferimento all’astrazione più che all’oggetto, all’immaterialità più che al concreto. Non di cose si parla infatti, impermeabili, tacchi antiscivolo, cuffie da piscina e stivali per gli acquazzoni, ma della loro rappresentazione: e dunque del modo in cui i capi di abbigliamento prodotti dalla Pirelli dalla fine dell’Ottocento a oggi sono stati comunicati e pubblicizzati. Un bel paradosso data la qualità tattile della gomma: «Anzi: una qualità carnale e decisamente erotica», come spiegava ieri Germano Celant, «visto che quando la tocchi reagisce». A guidare i visitatori attraverso quattro sale elegantemente spalmate di bianco il gioco ottico e sonoro di una pallina di gomma virtuale pure lei, che li accompagna rimbalzando dalle soprascarpe della nonna ai modernissimi PZero, cioè quegli stivaloni da pescatore che sono diventati il massimo dello chic per le bellezze metropolitane sotto la pioggia: e così, fra installazioni ingegnose che a un certo punto mimano le pozzanghere o il blu liquido di una piscina, e una delle più divertenti è dei ragazzi del Naba, la Nuova Accademia di Belle Arti Milano, scorre il meglio della grafica e della cartellonistica italiana, da Jeanne e Franco Grignani a Bruno Munari, da Ugo Mulas a Ermanno Scopinich. Più alcuni bozzetti giovanili di Alessandro Mendini, presente al vernissage, che ha ricordato di averli realizzati quando era «un ventisettenne che ancora non aveva capito bene che cosa volesse fare da grande, e lavorava con l’inchiostro di china imitando Steinberg, Peynet e Walt Disney e sognando forse un futuro da cartoonist». I suoi pesciolini, stupefatti intorno a un oggetto misterioso che è poi una maschera subacquea, sono infatti deliziosamente fumettari. Ma ecco anche i gentiluomini Anni Trenta in trench disegnati da Tabet, che contemporaneamente decorava le copertine degli Omnibus Mondadori, ecco certe affiche ancora di gusto Art Déco che a Umberto Eco, autore di un contributo al catalogo e comparso in video all’inaugurazione, hanno ricordato «gli uomini fiammeggianti del Thermogène: qualche volta la pubblicità sembra più antica del prodotto che intende lanciare, qualche volta è proprio il contrario; ma credo che, quando si tireranno le somme, così come la Lettera 22 esposta al MoMa tra le sculture novecentesche, certe réclame risulteranno più innovative e fantasiose di molta modesta pittura. Peccato solo che qui in mostra non ci siano l’impermeabile di Bogart e quello del tenente Colombo». Però c’è una bella quantità di signori smilzi e belle signore sotto la pioggia, e magari sullo sfondo compare il grattacielo Pirelli ancora in costruzione, totem del boom e della sua vertigine creativa. A scaturirne è, come ha sottolineato il presidente di Pirelli Marco Tronchetti Provera, «quell’essenza politecnica milanese fatta di cultura, impresa e tecnologia che è un importante patrimonio nazionale. Insisto sul nesso fra impresa e cultura perché non si risolve in un semplice rapporto di mecenatismo: i due elementi crescono insieme e pensano insieme. Quanto al rapporto con i nostri 140 anni di storia, guardiamo al passato proprio perché stiamo progettando il futuro». Un passato che, a pensarci bene, va indietro fino ai tempi dei Maya: furono loro, nel 500 avanti Cristo, a utilizzare per primi il secreto dell’ «albero che piange». «E da allora nessuno – conclude Tronchetti Provera – è mai riuscito a eguagliare per via sintetica le prestazioni del caucciù naturale».