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 2011  giugno 21 Martedì calendario

BEN ALI E LA MOGLIE CONDANNATI A 35 ANNI

Il tribunale di Tunisi ha condannato in contumacia a 35 anni di carcere e 45 milioni di euro di multa per furto e appropriazione di fondi pubblici l’ex presidente Ben Ali e la moglie Leila Trabelsi. I dittatori di questa tempestosa primavera araba non sono tutti uguali ma hanno un tratto in comune: fare tutto in famiglia.

Mubarak si era accanito per insediare alla presidenza il figlio Gamal e il suo comitato d’affari. Gheddafi accarezzava l’idea di consegnare lo scettro e il petrolio al rampollo Seif. Ma la successione dinastica, come vediamo, si sta rivelando un fallimento: in Siria Bashar Assad, figlio di Hafez, sta provocando danni forse irrimediabili e gli eredi al trono di Marocco e Giordania, pallidi epigoni dei padri, annaspano agitando riforme assai poco convincenti.

In Tunisia Ben Ali si è perduto, malato e senescente, nelle trame della moglie, Leila Trabelsi, di fatto la Reggente di Cartagine, che aveva piazzato fratelli e cugini in tutti i posti che contavano, soffocando nella morsa della corruzione e del nepotismo un popolo mite e ospitale, capace di accogliere con un grande slancio di solidarietà 400mila profughi dalla Libia.

I tunisini rivendicano il primato della primavera araba e adesso anche quello di avere condannato il dittatore di turno. L’ex presidente è in esilio nel regno saudita, custode della Mecca e di un tenace oscurantismo, che ospita pure lo yemenita Abdullah Saleh e si candida a diventare il pensionato degli autocrati, un giorno forse anche del talebano Mullah Omar. Da Gedda Ben Ali respinge le accuse di essersi impadronito di decine di milioni di euro, di aver dato ordine di sparare sulla folla e afferma che ha abbandonato il Paese perché «ingannato dal capo della sicurezza nazionale». L’importante è negare l’evidenza e alimentare le teorie del complotto, sempre in auge.

Rinviate a ottobre le elezioni dell’assemblea costituente, il processo Ben Ali - che continua con altri capi d’accusa - sembra destinato a intrattenere, e forse a distrarre, un’opinione pubblica alquanto delusa. La rivoluzione dei gelsomini segna il passo, la Tunisia è alle prese con una crisi senza precedenti, sottolineata da numeri che il regime teneva ben nascosti: secondo le cifre rivelate dopo la fuga di Ben Ali la disoccupazione è al 35% e sale al 45% tra i giovani laureati.

Il regime di Ben Ali, al potere dall’87 con l’aiuto determinante dei servizi italiani, ha dovuto la sua longevità a una combinazione di coercizione e consenso. Chi accettava il suo primato godeva di benefici sociali, case popolari, studi gratuiti; chi si opponeva veniva escluso e bastonato. Un sistema di welfare, generoso e detestabile allo stesso tempo, che adesso inevitabilmente mostra la corda, insieme a un consistente deficit di 21 miliardi di dollari.

Basteranno i dollari promessi dal G-8 per risollevarsi? Della questione si occupa il ministro delle Finanze, Jalloul Ayed, ex manager di Citibank, che in agenda ha come priorità creare posti di lavoro. Ayed ha anche la supervisione su beni e imprese confiscate al clan: il processo all’ex presidente sarà utile se farà chiarezza non soltanto sulle risorse inghiottite dalla rapace coppia Ben Ali-Trabelsi.

L’avida stagione degli autocrati arabi sta finendo ma i conti non tornano. Mettere sotto processo Ben Ali è doveroso ma l’uscita di scena di leader come il presidente tunisino e l’egiziano Mubarak, così come la guerra in Libia, ha fatto uscire allo scoperto i rapporti, spesso sottotraccia, esistenti tra Occidente e Nordafrica, gli interessi petroliferi e militari, l’intreccio di legami imbarazzanti tra le élite politiche europee e i dittatori arabi. Il processo Ben Ali e forse ad agosto quello a Mubarak (ieri il suo avvocato, Farid el-Deb, ha riferito che il raìs è affetto da cancro allo stomaco e «il tumore si sta espandendo») potrebbero avere una certa importanza anche per la sponda Nord del Mediterraneo dove per altro sulle "liason" con questi regimi è già arrivata una sorta di rapida auto-assoluzione, un deprimente colpo di spugna su un passato compromettente, nella speranza che il futuro non sia troppo incerto.