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 2011  giugno 21 Martedì calendario

Il giovane Ivo Andric che intuì l’essenza (e la fine) del fascismo - Una settimana do­po lo scoppio della prima guerra mon­diale, a Spalato venne arrestato uno studente uni­versitario accusato di svolgere «attività antistatali»

Il giovane Ivo Andric che intuì l’essenza (e la fine) del fascismo - Una settimana do­po lo scoppio della prima guerra mon­diale, a Spalato venne arrestato uno studente uni­versitario accusato di svolgere «attività antistatali». Quel giova­ne, di 22 anni, era certo un rivolu­zionario - lettore di Mazzini e di Bakunin, di Stirner e di Herzen, e anche di Nietzsche - ma, in real­tà, non apparteneva al genere de­gli attivisti. Era, più che altro, un intellettuale il quale, al pari di tan­ti giovani della sua generazione, aveva subito il fascino delle idee nazionaliste dibattute nelle socie­tà, nei circoli, nelle organizzazio­ni patriottiche nate nei territori del grande impero austro-ungari­co. Era stato tra i fondatori, e ne era diventato presidente, della Gioventù progressista serbo­croata, un gruppo aderente alla Giovane Bosnia della quale face­va parte anche il giovane poeta Gavrilo Princip, che il 28 giugno 1914 avrebbe ucciso l’arciduca Francesco Ferdinando a Sa­rajevo. Questo giovane universitario sarebbe diventato famoso in se­guito come scrittore. Si trattava, infatti, di Ivo Andric, cui sarebbe stato assegnato nel 1961 il Premio Nobel per la letteratura e che avrebbe legato il suo nome a ro­manzi famosi, come La cronaca di Travnik e Il ponte sulla Drina , che hanno la struttura e il sapore dei grandi affreschi storici. La let­teratura fu, certo, il grande amore di Andric, coltivato per molto tem­po in privato, ma, accanto a que­sta passione, vi furono il suo impe­gno come di­plomatico e la sua at­tività politica come deputato, pri­ma della Repubblica della Bosnia ed Erzegovina,e,poi,della Repub­blica federale jugoslava. La prima sede nelle quale egli si trovò ad operare come diplomatico, co­me giovane diplomatico, in veste di segretario del Regio consolato presso la Santa Sede, fu Roma, la Roma dell’inizio degli anni Venti. È comprensibile che Andric, appassionato di storia e imbevu­to di cultura nazionalista, abbia dedicato attenzione al fenome­no fascista e alla figura stessa di Mussolini e abbia cercato di dar­ne e darsene una spiegazione, sia in termini storico-politici sia in termini culturali, in molti scritti, alcuni di natura giornalistica altri di carattere saggistico, pratica­mente sconosciuti in Italia. Di es­si si occupa un bel saggio di Ro­berto Valle dal titolo Genealogia e crepuscolo del fascismo: Ivo An­d­ric e la rivoluzione fascista in Ita­lia e nei Balcani , inserito nel volu­me collettaneo Intellettuali ver­sus democrazia. I regimi autorita­ri nell’Europa sud-orientale , (Ca­rocci) curato da Francesco Gui­da. Si tratta, a mia conoscenza, dell’unico studio che esamini, in maniera sistematica e contestua­­lizzata, questa produzione di un grande scrittore che, per sua stes­sa ammissione, intendeva essere testimone e «appassionato osser­vatore della storia». Alle origini culturali del fasci­smo vi erano per Andric, in una posizione privilegiata, due intel­lettuali, Filippo Tommaso Mari­netti e Gabriele D’Annunzio, le cui opere - in particolare, del pri­mo, L’alcova d’acciaio e, del se­condo, il Notturno- egli ebbe mo­do di recensire, cogliendone so­prattutto, al di là della dimensio­ne estetica, una natura politica quale riflesso o conseguenza di quella «enorme prova, terribile e assurda» che era stata la prima guerra mondiale. Tuttavia, il futu­ro premio Nobel per la letteratu­ra si rese subito conto che per quanto potesse essere l’idolo del­­l’Italia post-bellica, D’annunzio non avrebbe mai potuto assurge­re a quel ruolo di guida spirituale o di arbitro della nuova Italia del quale si sarebbe autoinvestito Mussolini, il quale con la «marcia su Roma» avrebbe completato la «marcia su Ronchi». Nel caso di Marinetti e dei futuristi, il giudi­zio di Andric era diverso. A suo pa­rere Marinetti e i futuristi erano stati, davvero, fin dalle origini, fa­scisti o, se si preferisce, protofasci­sti: lo erano stati nella valorizza­zione e nella utilizzazione della piazza e nel dichiarato disprezzo per la cultura e il «passatismo». Lo erano stati, ancora, per una di­mensione ideologicamente rea­zionaria anche se rivestita di reto­rica ribellistica, per quel mix, in­somma, che costituiva l’essenza del fascismo. E che, in fondo, co­m­’ebbe Andric a profetizzare ver­so la metà degli anni Venti, avreb­be condotto il fascismo alla cata­strofe: essendo stato un prodotto della guerra, di una grande guer­ra, esso non sarebbe potuto che terminare con una guerra, con una grande guerra combattuta per la supremazia. Interrogandosi sulla natura del fascismo, il giovane Andric ne parlò, nel 1923, come di un movi­mento che presentava, insieme, i caratteri della reazione e della ri­voluzione, essendo un fenome­no polimorfo dal punto di vista ideologico e politico frutto di «nu­merosi e multiformi influssi che sfuggono alle etichette». Esso si era affermato grazie al fallimento del «miracolo rivoluzionario» promesso dalle sinistre del dopo­guerra e alla «disgregazione inter­na » del socialismo italiano. Era riuscito a incanalare il malessere del provincialismo nazionale che aspirava a un futuro di gran­dezza: la «provincia» italiana da sempre «litigiosa e ottusa» aveva trovato nello squadrismo una «nuova formula semilegale per sfogare i suoi antichi odi e i suoi peggiori istinti». È davvero singolare come il gio­vane Andric, non ancora dedica­to­si alla letteratura, sia stato in gra­do di cogliere, negli articoli scritti in diverse occasioni (e ben analiz­zati da Roberto Valle nel suo sag­gio) certi tratti significativi di quel fascismo che egli naturalmente per la sua formazione e militanza politica non poteva né apprezza­re né condividere, ma che, proba­bilmente per il suo lavoro diplo­matico, doveva sforzarsi di capi­re e spiegare. Ed è singolare che sia riuscito a farlo anticipando, in molti casi, i termini della discus­sione storiografica successiva. La spiegazione dell’acutezza e della modernità di certe analisi del fe­nomeno fascista da parte di An­dric sta, molto probabilmente, nella sua sensibilità per la storia, in generale, e per la complessità della storia, in particolare. Una sensibilità che- quando egli deci­derà di dedicarsi soltanto alla scrittura - gli consentirà di dare forma e vita ad alcuni fra i più bei romanzi del Novecento, nei qua­li la «grande storia» nazionale o multinazionale si incontra e si mescola con la«piccola storia»in­dividuale dei singoli.