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 2011  giugno 21 Martedì calendario

L’UOMO CHE (NON) SEPARÒ I FATTI DALLE OPINIONI


È morto un re della carta stampata. A differenza di quello che ho letto in un titolo che scorreva in basso a un telegiornale di ieri delle 13 («È morto Lamberto Sechi, uno dei padri fondatori di Panorama»), Sechi è stato l’ideatore e il padre unico di Panorama. È stato il maestro di una generazione di giornalisti che stava debuttando nei primi anni Settanta e molti dei quali sarebbero arrivati al top della professione, su tutti il suo pupillo Claudio Rinaldi, l’unico giornalista italiano che abbia diretto tutti e tre i principali settimanali italiani.
Nel dare vita a Panorama Sechi aveva inventato e un nuovo settimanale e una nuova maniera giornalistica, di cui ha forgiato una a una le regole grammaticali.
Tutto questo a un tempo, distante anni luce dell’oggi, in cui i settimanali di opinioni e di notizie la facevano da padroni. Perché era un tempo in cui le notizie e le emozioni camminavano a passo d’uomo e non alla velocità supersonica cui camminano oggi, quando tutto diventa vecchio nello spazio di un’ora. L’Italia che si stava avviando alla modernità trovava in quei settimanali di che nutrirsi moralmente e intellettualmente, di che capire il mondo. Non c’era il computer, non c’era Intermet, non c’erano gli smartphone. A ricalcare modelli giornalistici americani e francesi, il rotocalco all’italiana lo aveva inventato Leo Longanesi negli ultimi anni Trenta. I settanta numeri del suo Omnibus (stoppato dal fascismo a causa di un articolo di Alberto Savinio giudicato irriverente nei confronti di Giacomo Leopardi) fanno da madre di tutta la storia successiva del rotocalco all’italiana. I due discepoli di Longanesi alla redazione di Omnibus erano stati Arrigo Benedetti e Mario Pannunzio. Assaporata la lezione di Longanesi, nel secondo dopoguerra Benedetti fondò l’Europeo e Pannunzio Il Mondo, un settimanale che vendeva poco ma di gran caratura intellettuale. Caratteristica di questi giornali, così come dell’Espresso fondato dallo stesso Benedetti a metà degli anni Cinquanta, era il formato cosiddetto “lenzuolo” che ricalcava il formato del settimanale di Longanesi. Un formato che conserverà l’Europeo diretto da Tommaso Giglio, quello di cui molti di voi ricordano le splendenti ragazze che ne addobbavano le copertine, e questo sia detto alla faccia di quanti giudicano comunque losco il mettere in vetrina il corpo di una bella ragazza.
Nuovo formato
Ho insistito sulle caratteristiche del formato, perché è dal cambio di formato che inizia la nuova e fortunatissima stagione dei settimanali di opinione e notizie. L’Espresso rinuncia al formato lenzuolo nel 1974 passando al formato tabloid che è quello suo attuale. Il formato che Sechi aveva voluto per Panorama fin da subito, da quel 1967 in cui lo aveva trasformato da mensile in settimanale. Il cambio di formato coincide con uno scatto verso l’alto delle vendite dell’Espresso e mentre il Panorama di Secchi conquista copie una settimana dopo l’altra, fino a un sorpasso che sarà surclassante negli ultimi Settanta e negli Ottanta. La formula di Sechi aveva stravinto.
Riassumiamola. Nessuna vanità intellettuale in chi scriveva, il giornalista doveva mettersi al servizio del pezzo e della formula del giornale. L’“attacco” del pezzo doveva essere fulminante, in quelle due righe iniziali doveva esserci il perché dell’articolo e il suo sapore. Il racconto giornalistico doveva essere fluente, i personaggi dovevano essere ritratti in piedi e come in movimento, alla maniera di attori di un film.
Le pulci sui pezzi
Una precisione maniacale nei particolari e nell’economia del linguaggio, guai a scrivere «un’apposita commissione» dato che qualsiasi commissione è «apposita», ossia fatta ad hoc; guai a scrivere «feroce delitto» dato che un delitto non è mai garbato e gentile. A ottenere questo risultato c’erano in redazione dei cerberi che “passavano” i pezzi, nel senso che ne controllavano persino le impronte digitali, e in quest’arte era sublime Toni Pinna, di cui dirò appresso.
Naturalmente non è vero niente che il Panorama degli anni fulgidi di Sechi fosse un giornale che separava le “opinioni” dai “fatti”. Un tale giornale non è mai esistito in Italia e meno che mai lo era il settimanale di cui sto dicendo.
Dalla prima all’ultima riga era un giornale orientato a sinistra fatto da giornalisti orientatissimi a sinistra, ivi compresi alcuni di quelli che oggi fanno l’apoteosi di Silvio Berlusconi dopo ogni pasto, Carlo Rossella uno di questi. Dalla prima all’ultima riga era rivolto a un pubblico di sinistra, epperò non più a un pubblico d’élite e bensì al tipo medio della sinistra, uno studente o un libero professionista o un impiegato che volesse aggiornarsi e sapere il chi e il come e il dove del suo Paese. Di un Paese dove tutto era in tumulto e dove tutto stava cangiando.
L’ho detto, fu un successo giornalistico strepitoso e tale resterà sino alla fine degli anni Novanta, quando la formula giornalistica del settimanale di opinioni e notizie s’è de finitamente esaurita.
Solo che nel 1979 Sechi aveva lasciato la direzione di Panorama. Un anno dopo è entrato da direttore all’Europeo, il settimanale che nella primavera del 1979 (direttore Mario Pirani) aveva abbandonato a sua volta il formato lenzuolo (troppo tardi!) e aveva tentato di rivaleggiare con i due concorrenti quanto a vendite in edicola. Solo che il giornale di Pirani superava a stento le 100 mila copie (contro le 300/400 mila dell’Espresso e di Panorama) e l’editore Rizzoli decise di sostituire Pirani con Sechi.
Da giornalista dell’Europeo temevo molto l’arrivo di Sechi. E perché ero un amico di Pirani, e perché ero un simpatizzante craxiano (laddove Sechi aborriva il craxismo), e perché ero già allora un “revisionista” al cento per cento, e perché non avevo alcuna delle stimmate del giornalista che va a caccia di notizie ben separate dalle opinioni.
La mia amicizia
Ebbene, Sechi fu nei miei confronti di una grande lealtà e di una grande amicizia. Era un maestro in ogni suo gesto, da come ti toglieva da un pezzo un aggettivo non necessario, da come ti sorrideva se gli facevi una proposta che gli piaceva, da come ti indicava che l’“attacco” giusto del tuo pezzo stava in una riga che avevi messo nella terza cartella. Un maestro. Tutto il pochissimo che so del giornalismo l’ho imparato da lui e poi da Rinaldi, che Sechi aveva voluto prima vicedirettore e poi suo successore alla direzione di Panorama.
Il loro giornale non andò mai molto oltre le vendite di quello di Pirani, 120 mila copie tutt’al più, ma era un bellissimo giornale. E io ero orgoglioso di stare in quella squadra, orgoglioso quando Toni Pinna (l’altro vicedirettore dell’Europeo) mi “passava” un pezzo e non ci trovava nemmeno un punto e virgola fuori posto.
Anni luce fa. Addio, Lamberto.

Giampiero Mughini