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 2011  giugno 21 Martedì calendario

Quel D’Alema «nazi» che non t’aspetti: «Disegnai una svastica su un carrarmato Urss» - Dev’essere l’aria nuova, il vento del cambiamento, la speranza di vin­cere le elezioni (magari grazie a qual­che apporto extra-Pd)

Quel D’Alema «nazi» che non t’aspetti: «Disegnai una svastica su un carrarmato Urss» - Dev’essere l’aria nuova, il vento del cambiamento, la speranza di vin­cere le elezioni (magari grazie a qual­che apporto extra-Pd). Si rinfresca la memoria del mitico Max (D’Alema), riaffiora d’incanto la sua vena più umana, più simpatica, persino emoti­va e passionale. Al punto da conceder­si a un giornalista (vabè che si tratta di Luca Sofri, un amico) per una lunga chiacchierata che si traduce in cinque lunghe pagine sul sito Post.it , di cui So­fri è direttore. A parlare non è il sarcastico, gelido D’Alema nemico giurato delle «jene dattilografe»fin dai tempi della sua di­rezione all’ Unità . Forse anche per col­pa dell’età che, ipse dixit , induce le persone «a intenerirsi». Ed eccolo, il tenero Max, rievocare il suo Sessantot­to: «Quando io ero ragazzo, dopo un indimenticabile anno accademico di occupazioni, battaglie, eccetera, arri­vato stremato alla fine di tutto questo, non pago di tutto quello che era suc­cesso – era il 1968 – con un amico, a bordo di una sgangheratissima 500, partimmo per Praga. Perché pensavo che questa breve vacanza si dovesse fare nella primavera praghese, per­ché mi appassionava, perché non con­cepivo nulla al di fuori dell’impegno. E mi ritrovai a Praga il giorno in cui vi entravano i carri armati sovietici. E ri­cordo lo choc». Uno choc pari al nostro, apprenden­do lo «strappo» che il giovane figlio d’arte del Pci stava per consumare. «Mi ricorderò tutta la vita come in que­sta mattinata in cui scendemmo in piazza per protestare contro i carri ar­mati sovietici feci una cosa che men­tre la facevo capivo che non andava fatta, anche perché era rischiosa, ma all’epoca non avevamo il senso di quel rischio: e disegnai con un gesset­to una svastica su un carro armato del patto di Varsavia». Una svastica sul sacro simbolo della Grande Patria Sovietica. Incredibile. Ma il peggio doveva ancora venire. «Dopo,mi ricordo che c’era lì un com­pag­no che avevo incontrato pochi an­ni prima: era molto giovane ed era sin­daco di un paesino emiliano, anche lui lì in vacanza. Stava guidando e a un certo punto la radio clandestina disse che bisognava suonare le campane, i clacson. E allora lui si mise a suonare il clacson della sua macchina e dice­va: “Chi l’avrebbe mai detto che sia­mo qui e protestiamo contro l’Armata Rossa”e ci mettemmo a piangere.E io credo di aver pianto (per il dolore che mi aveva dato l’Armata Rossa, pensa tu) per due giorni. È stato uno dei più grandi dolori della mia vita, perché mentre capivo che bisognava essere contro...però ilfatto che lìci fosse l’Ar­mata Rossa, per quanto io fossi uno del Sessantotto, un comunista italia­no, fu un tale choc che mi produsse un dolore enorme (mi risollevai, dicia­mo, dopo aver visto il comunicato del Pci)». Più di ogni cosa, diciamo, davve­ro impagabile la chiusa. Nella quale rifà capolino,ahinoi, il D’Alema che si fa amare. Inclemente, per una volta, persino con se stesso.