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 2011  giugno 21 Martedì calendario

Ora è persino difficile ricordare com’era, l’Italia del 1990. Erano appena finiti i mondiali di calcio italiani, lo stadio di San Siro aveva aggiunto da poco un altro anello, il terzo

Ora è persino difficile ricordare com’era, l’Italia del 1990. Erano appena finiti i mondiali di calcio italiani, lo stadio di San Siro aveva aggiunto da poco un altro anello, il terzo. Tangentopoli non era stata ancora inventata, neppure come parola, Vasco Rossi riempiva per la prima volta lo stadio di Milano e finiva «sopraffatto spettatore della performance dei sessantamila impegnati in una corale “Albachiara”», come scriveva «La Stampa». Oggi, 21 anni dopo, o quasi, Vasco Rossi suona per la sedicesima volta (stasera) e diciassettessima (domani) nello stesso stadio. È un record mondiale: sembra certo che stasera o domani la barriera del milione di biglietti venduti (solo a San Siro) possa dichiararsi abbattuta. «Se il rock è una religione», dice Michele Monina, che a Vasco ha dedicato quattro libri (l’ultimo è «Il Vasco che vorrei», Fanucci), «questo concerto è la sua messa cantata». Come tutti i riti, anche questo ha avuto alti e bassi, problemi e rinascite: per anni suonare qui è stato complicato, tra le proteste dei comitati anti-rumore e i limiti sempre più restrittivi: per un paio d’estati San Siro si è chiuso alla musica rock. Ma ora il vento è cambiato, e quest’anno Vasco di concerti ne fa addirittura quattro, per un totale di 250 mila spettatori. E non sono concerti come gli altri. Per un fan, esserci è quasi un dovere, oltre che un piacere: la scaletta del tour 2011 è stata parecchio dibattuta, e molti non hanno apprezzato la massiccia presenza di canzoni tratte dall’ultimo album, «Vivere o niente», che comunque è in vetta alle classifiche da mesi. Ma la vendita dei biglietti non ha registrato alcuna flessione. Ancora Monina: «Auguro a Vasco una lunga vita, ma per paradosso si può dire che la gente riempirebbe lo stadio ormai anche senza di lui. Il concerto è diventato una tradizione, e ha il senso di una conferma d’appartenenza per il popolo più trasversale che c’è, e che pure si sente diverso dalla massa, si riconosce in una sensibilità alternativa. Vasco è stato capace di tenere insieme tutto ciò, passando dal “Siamo solo noi” di qualche anno fa a “Siamo soli”. Parole d’ordine semplici, che ciascuno può intereotare come vuole, ma comunque importanti: se non capisci i testi, Vasco non lo capisci». Il risultato è che oggi nessuno come lui riesce a tenere insieme più generazioni e tipologie di pubblico diverse: è in giro dagli anni 70, ha 59 anni, non si preoccupa più di nascondere gli occhiali da vista e i capelli sempre più radi, eppure risulta credibile come rockstar anche per i ventenni. «È un pubblico transgenerazionale e apolitico», conferma Monina, «per quanto Vasco si sia in passato dichiarato vicino ai Radicali e in genere si esponga su temi che riguardano le libertà personali, ai concerti ci sono leghisti, gente che vota a destra. Non sarebbe corretta una lettura politica, e neppure in chiave sociologica: quello che era considerato l’eroe degli sballati oggi presenta i dischi da don Ciotti». Vasco è attivissimo su Facebook, con un profilo che gestisce direttamente e che gli ha permesso anche qualche stoccata polemica, e su YouTube, dove pubblica video che gira lui stesso, cliccatissimi e spesso divertenti.I telefonini con videocamera e accesso a Internet gli hanno cambiato la vita, e con l’istinto da pioniere che lo spinse, quasi 40 anni fa, a fondare una delle prime radio libere d’Italia, ci si è buttato senza esitazioni. Se ci si chiede come faccia, a riempire ancora gli stadi, a 21 anni dalla prima volta, forse è qui che va cercata la risposta.