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 2011  giugno 21 Martedì calendario

MILANO —

«Per me suonare il piano è come fare l’amore, come un orgasmo. È meraviglioso e non è pornografico farlo davanti al pubblico. Anzi, è legale» . Un metro e due cm. di altezza, una patologia dolorosissima che avrebbe reso la vita un inferno a chiunque, ma lui, Michel Petrucciani, il jazzista francese più celebrato di sempre, preferiva raccontarsi così. La sua filosofia del pianoforte — o forse della vita, dell’amore (ah, le donne!)— sta in questa dichiarazione divertita a Roger Willemsen , intellettuale tedesco che gli fu amico, tanto da dedicargli nel 2005 un documovie cui ora ha attinto con garbo Michael Radford per realizzare il suo Michel Petrucciani -Body and Soul, presentato a Cannes e in uscita da noi. Un film al femminile, perché a raccontare questo «grande» uomo e le sue ancora più grandi mani furiose sulla tastiera sono loro: Eugenia, Erlinda, Marie-Laure, Gilda, Isabelle, in una storia che al di là della cifra cinematografica è il viaggio emozionante di una vita esagerata, 36 anni con l’acceleratore sempre a tavoletta. «Immaginati alto un metro — ci provoca subito tutti Eugenia — Immagina di avere questo incredibile talento rinchiuso in un corpo talmente piccolo... Come ti sentiresti» . Già, come ci sentiremmo? Michel era nato nel 1962 a Orange e la diagnosi fu tremenda: osteogenesi imperfetta, cioè ossa di una fragilità cristallina, condanna a ogni tipo di frattura e impossibilità di crescere equivalente al nanismo. Detestava il Natale perché nella sua infanzia 9 volte su 10 a Natale era in ospedale. Però Antoine, suo padre, era un musicista (più che un dilettante) e a tre anni Michel era già talmente impregnato di jazz da non avere dubbi sul proprio destino. Non poteva camminare— solo intorno ai 25 avrebbe imparato a farlo con le stampelle— ma quando la mamma gli regalò un pianoforte-giocattolo, tanto per mettere in chiaro che cavolo di carattere aveva, prese un martello e lo fece a pezzi. Subito. Lui ne voleva uno vero. E lo ebbe. A 13 anni sostituì il pianista di Clark Terry capitato in tournée da quelle parti: «Suonava come un nero di 38 anni stanco della vita, finito in Messico o in un piano bar» . Poi— e si va già a cento all’ora — ci fu il colpo di fortuna dell’amico hippie che tornò in America dopo averlo conosciuto per caso e lo invitò in California da Charles Lloyd, mito della black music che aveva deciso 13 anni prima di lasciare il sax per dedicarsi al misticismo. Bastò una notte fino alle 5 del mattino con Michel per convincerlo a tornare sulla terra e a partire in tour. Il piccolo pianista si era finalmente unito ai suoi «eroi» (è lui a chiamarli così) e non li avrebbe più lasciati. Ma aveva anche un altro sogno: «Era quello di sposarmi e vivere storie d’amore, come quelle che vedevo in tv, dove lui prende in braccio la sposa, la porta nella stanza e si baciano» . Ecco, lui la sposa non l’ha mai potuta prendere in braccio, anzi si è fatto quasi sempre portare lui dalle sue spose. E quanto al resto... «Era un amante strepitoso, eccezionale» , confessa con appena un pizzico d’imbarazzo Erlinda, la sua prima ragazza e la sua prima moglie. Sì, era una stagione fantastica in California se avevi 17 o 18 anni, però il richiamo di New York era irresistibile — la scena jazz era quella — e Michel scappò lì, dove conobbe quasi subito l’affascinante Eugenia e la conquistò in poche ore. Sfrontato, estroverso, anche arrogante, conosceva una ragazza e subito la presentava a tutti «Ecco la mia nuova moglie» . Non tutte stavano al gioco, ma qualcuna sì, «So di essere differente, ma non mi sento male o in colpa per questo. Semplicemente sono come sono e non mi dà alcun problema. Voglio dire: chi è l’handicappato? Tu o io? Chi lo sa? Tu hai dei problemi, io ho dei problemi. Tutto qui» . Eugenia fu mollata alla vigilia delle nozze per Marie-Laure, che lo avrebbe amato fino alla fine nonostante tutto: «Anche quando dormiva suonava, suonava me come fossi il suo piano» . Marie-Laure gli diede il primo figlio, Alexander, che ereditò pure quella sfiga di malattia. Poi ci fu Gilda, italiana, pianista classica, però con lei non girava. E allora ecco Isabelle, che cercò di farlo vivere in una casa parigina, di organizzargli un’esistenza più moderata, ma era un’impresa improbabile: tournée, nottate, fumo, alcol, droghe («Sì, non posso dirlo, ma ne ho prese un sacco» ). Il capolinea era vicino. 220 concerti in un anno e una polmonite regalo di New York a Capodanno: è morto il 6 gennaio ’ 99 ed è stato sepolto al cimitero di Père Lachaise a Parigi con migliaia di persone a dirgli addio. È sepolto accanto a Frédéric Chopin. «Era un uomo con uno dei talenti più straordinari mai concessi a un essere umano — ricorda ancora Eugenia, quella che non ha mai sposato —. E che cosa voleva? Voleva passeggiare su una spiaggia con una donna al suo fianco. Solo passeggiare» . Ariel Pensa