Paolo Lambruschi, Avvenire 21/6/2011, 21 giugno 2011
RIFUGIATI, TRISTE BOOM
Il primo decennio del nuovo secolo finisce con un triste primato. Tocca infatti quota 44 milioni il popolo dei rifugiati sparsi nel mondo, metà dei quali sono donne e ragazze, ed è come se tutta la popolazione di nazioni di media grandezza come Etiopia, Corea del Sud e Colombia decidesse di fuggire dai conflitti e dalle persecuzioni del Sud del pianeta lasciando casa e affetti. Ma, nonostante quello che si crede, quattro quinti restano nel Sud, in Paesi limitrofi, con buona pace della sindrome da assedio dell’Europa e delle nazioni ricche. Era dalla metà degli anni 90 che il mondo non contava un numero così alto di rifugiati e sfollati. E il Rapporto Global Trends 2010 diramato ieri, Giornata mondiale del Rifugiato dall’Acnur, l’agenzia Onu per i rifugiati che quest’anno celebra anche i 60 anni della Convenzione di Ginevra, non annota ancora nella contabilità della disperazione l’impatto umanitario delle crisi iniziate nell’inverno 2011. Soprattutto quelle nordafricane di Libia e Tunisia e poi quelle di Siria, Yemen e Costa d’Avorio che hanno prodotto almeno altri 700mila esodi in questo semestre e che entreranno nel prossimo rapporto. Torniamo al 2010. Dei 43,7 milioni di persone costrette alla fuga, 15,4 milioni sono rifugiati, 27,5 sono sfollati interni a causa di conflitti e circa 850mila sono richiedenti asilo. Viene definito «particolarmente angosciante » dall’Acnur il dato delle 15.500 domande di asilo presentate da minori non accompagnati o separati, gran parte dei quali somali o afghani.
Ben 7,2 milioni di rifugiati sono in esilio da almeno cinque anni. È il numero più alto dal 2001. I tempi si sono allungati dal 2009. Nel decennio appena concluso, spiega il rapporto, l’Alto commissariato ha aiutato un milione di rifugiati l’anno a rientrare nel proprio Paese volontariamente e in condizioni di sicurezza. Nel 2009 sono state 240mila le persone (un quarto) che sono potute rientrare in sicurezza nel proprio Paese, mentre nel 2010 meno di 200mila.
Alcuni sono in esilio addirittura da 30 anni. Come gli afghani, popolazione che con tre milioni di rifugiati sparsi in 75 Stati detiene il triste primato mondiale: i primi hanno iniziato a fuggire ai tempi dell’invasione sovietica del 1979 e il cui esodo non si è mai arrestato. Con iracheni (1,7 milioni di rifugiati, la seconda nazione della Terra), somali (119mila solo quelli fuggiti nel 2010) e poi cittadini della repubblica Democratica del Congo e sudanesi (soprattutto darfuriani in fuga verso Ciad e Libia), figurano tra le prime 10 nazionalità di profughi sia all’inizio sia alla fine del primo decennio del 2000, a riprova che i focolai di crisi non sono stati spenti.
Senza contare i drammi del Corno d’Africa, cui alla ventennale anarchia somala si assomma la dittatura dell’Eritrea che, nonostante abbia solo 4 milioni di abitanti, ha prodotto dal 2003 oltre 300mila profughi, che si trovano soprattutto nei campi Acnur in Etiopia (50mila persone), in Sudan (200mila) e in Israele (30mila).
Secondo il rapporto Global Trends 2010, quattro quinti dei rifugiati restano nei Paesi più poveri del mondo con un reddito medio inferiore a tremila dollari l’anno. Quindi, in proporzione compiono sforzi enormi per l’accoglienza. Sono infatti Pakistan, Iran e Siria a ospitare il maggior numero di rifugiati. Islamabad ne accoglie circa 2 milioni, Teheran arriva a 1,1. Si tratta in entrambi i casi di profughi afghani. Damasco accoglie invece un milione di persone. Il Pakistan risente dell’impatto economico maggiore con 710 rifugiati per ogni dollaro pro capite del Pil, seguito dalla Repubblica Democratica del Congo e dal Kenya (rispettivamente 475 e 247). Per fare un paragone, la Germania, il paese industrializzato con la più alta popolazione di rifugiati (594mila), accoglie 17 rifugiati per ogni dollaro pro capite del Pil. La meta più ambita per chi ha ottenuto lo status è il Sudafrica con 185mila richieste, seguito dagli intramontabili Usa (54mila) e, per la vecchia Europa, dalla Francia (48mila). Troppo pochi per il nostro continente, il quale 60 anni fa volle una Convenzione per accogliere gli oppressi che oggi ha quasi paura di rispettare.