Ugo Savoia, Corriere della Sera 19/6/2011, 19 giugno 2011
Troppo bella e troppo grande. Quindi troppo impegnativa, costosa oltre ogni limite immaginabile di budget pubblico, specie di questi tempi, la piermariniana Villa Reale di Monza è talmente sontuosa che tutti la propongono come sede permanente di qualcosa, ma dopo aver lanciato il sasso che fa conquistare i titoli dei giornali, poi ritraggono la mano che dovrebbe portare le risorse necessarie alla sua gestione
Troppo bella e troppo grande. Quindi troppo impegnativa, costosa oltre ogni limite immaginabile di budget pubblico, specie di questi tempi, la piermariniana Villa Reale di Monza è talmente sontuosa che tutti la propongono come sede permanente di qualcosa, ma dopo aver lanciato il sasso che fa conquistare i titoli dei giornali, poi ritraggono la mano che dovrebbe portare le risorse necessarie alla sua gestione. Ora l’idea di Bossi di farne il primo esempio di decentramento dell’esecutivo, trasferendovi il suo ministero delle Riforme per il federalismo e quello della Semplificazione normativa (Calderoli), è solo l’ultima delle proposte per interrompere la lunga agonia della ex residenza sabauda, cominciata nel 1934 quando Vittorio Emanuele III decise di regalare allo Stato, oltre che alle città di Milano e di Monza, quella «villa peccaminosa» in cui il padre Umberto I, che qui era solito trascorrere lunghi periodi con l’amante Eugenia Litta, fu assassinato nel luglio 1900. Il problema è che dopo 77 anni nessuno è ancora riuscito a trovare una soluzione condivisa, sostenibile e magari remunerativa. Per quasi trent’anni rifugio di decine di famiglie di profughi istriani, Villa Reale è stata proposta come sede della Regione Lombardia (presidenza Bassetti), sede della Mostra internazionale dell’arredamento, proposta come casinò (Ilona Staller), come sede di vertici politici internazionali modello G8, come centro di «alta rappresentanza» , sede permanente dei forum dell’Unesco, come polo internazionale del design. In effetti, le sue 740 stanze, la Cavallerizza, l’Orangerie o il Teatrino reale ne fanno un gioiello architettonico in grado di competere con le grandi regge europee. Ma la proprietà frantumata tra Stato, Regione Lombardia, Comuni di Monza e Milano, riuniti nel Consorzio unico di gestione di cui fanno parte anche la Provincia e la Camera di commercio di Monza, ha fatto sì che tutti volessero dire la loro ma senza impegnarsi economicamente. Ora c’è un piano, contestato, per riqualificarne una parte (corpo centrale e ala Nord) con fondi privati. Ma manca tutto il resto. E soprattutto manca un progetto, un vuoto che neppure la proposta dei due ministeri temiamo riuscirà a colmare. Ugo Savoia