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 2011  giugno 18 Sabato calendario

ECONOMISTA? PREMIO NOBEL? ALLORA LA FED NON FA PER TE

Il premio Nobel Peter Diamond il 5 giugno ha scritto un deprimente editoriale sul New York Times per annunciare di volersi ritirare dalla corsa per entrare a far parte del consiglio direttivo della Federal Reserve di fronte all’opposizione dei repubblicani.

«Non bisognerebbe consentire che opinioni errate e ideologicamente motivate, secondo cui più è sempre meglio, o meno è sempre meglio, soffochino il pensiero analitico sorretto dalle competenze», ha scritto Diamond, che insegna al Massachusetts Institute of Technology. «Speravo di poter apportare alla Fed un po’ della mia competenza e della mia esperienza. Ora spero che qualcun altro ci riesca».

Diamond non è soltanto un grande economista, è anche un economista puro, un teorico rispettatissimo, non certo una persona che si è fatta strada perché è un ideologo. Il suo lavoro è fondamentalmente apolitico.

Ma di questi tempi tutto è politico.

Le riserve sulla sua idoneità per la Fed sono palesemente delle fesserie. È chiaro che Diamond è stato ostracizzato per due peccati: il fatto di votare democratico e il fatto di essere stato nominato dal presidente Obama.

La Fed dovrebbe essere tenuta al di sopra e al di fuori degli scontri tra schieramenti politici. Non è mai stato così (non completamente) ma era un ideale a cui tendere. Ora non più.

La mia opinione è che il rigetto di un premio Nobel per un posto alla Fed sia legato fondamentalmente alla disponibilità o meno di economisti dotati di un’accettabile reputazione professionale a sottoscrivere i proclami sempre più folli lanciati dai politici della destra. Gli economisti si sono resi conto, anche se forse non lo ammettono nemmeno con se stessi, di dover superare un test di fedeltà (o forse un test di affidabilità politica): se hanno qualche ambizione di ricoprire un incarico politico devono dimostrare di essere pronti a seguire la linea del partito, qualunque sia.

Nell’altro schieramento non c’è nulla di comparabile. Se non altro perché a sinistra gente come Christy Romer, che è stata presidente del Consiglio dei consulenti economici (o il sottoscritto, tanto per citarne uno), non è disponibile a sostenere misure esplicitamente in contrasto con quello che hanno difeso nelle loro opere scientifiche; sul versante repubblicano invece se ne trovano a bizzeffe. E persone che hanno ricoperto incarichi politici con i democratici, come Christy Romer o l’economista Jared Bernstein, non esitano a criticare le politiche di Obama, anche se da posizioni sostanzialmente amichevoli.

Sicuramente l’effetto corrosivo della politica americana sulla teoria e la pratica della scienza economica non è il problema più grave. Ma non è nemmeno un problema da niente.

(Traduzione di Fabio Galimberti)