Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  giugno 19 Domenica calendario

AVERE FEDE NEI SANTINI

Fu papa Gregorio Magno, alla fine del VI secolo, a decretare che la religione cristiana non doveva avere paura delle immagini, simboli di un paganesimo che occorreva estirpare, ma poteva invece servirsene per insegnare i contenuti della nuova fede anche a chi non era in grado di leggere. Non più bollate come necessariamente empie, profane, superstiziose, le immagini potevano diventare sacre, legittimarsi come Bibbia dei poveri e trasformarsi da residui del passato in strumento di evangelizzazione e di insegnamento. A quella decisione il cristianesimo dovette una ricchissima tradizione iconografica, assente invece nelle altre grandi religioni monoteistiche, quella ebraica e quella islamica, entrambe rigorosamente aniconiche.

Da allora, una miriade di affreschi, pale d’altare, quadri, pulpiti scolpiti, bassorilievi, statue, miniature, stampe hanno raccontato a uomini, donne e bambini la fede cristiana, sono diventati parte essenziale del loro modo di conoscerla e di viverla, hanno dato vita a un patrimonio di immagini a prescindere dalle quali è difficile pensarla e immaginarla: dare un volto a Gesù Cristo o al Padre eterno, collocare nello spazio la crocifissione, pregare una Madonna che non sia vestita d’azzurro o di bianco, ignorare che san Pietro detiene le chiavi del paradiso. Opere celeberrime o santini devozionali, capolavori di sommi artisti o umili tavolette destinate ad altaroli domestici hanno per secoli accompagnato la vita religiosa dei credenti. A prescindere dalla loro qualità, tali manufatti non si sono limitati a raccontare le storie del vecchio e del nuovo Testamento, le gesta di Mosè e la fede di Abramo, la nascita di Cristo e la sua passione, le nozze mistiche di santa Caterina d’Alessandria e il martirio di san Sebastiano, a spiegare che gli apostoli erano dodici e la madre di Gesù era una vergine, ma ne hanno alimentato la pietà, le speranze, i timori. Scaturite dal magistero cristiano, hanno a loro volta contribuito a plasmare la fede così come essa è stata concretamente intesa e vissuta, e l’hanno innestata nella vita interiore dei fedeli, offrendosi non solo allo sguardo dei loro occhi, ma alle visioni dei loro cuori.

Su questo terreno vastissimo e dai contorni sfuggenti questo libro si avventura con partecipe sensibilità e intelligenza, utilizzando fonti iconografiche e letterarie, celebri dipinti come la Crocifissione di Mathias Grünewald o la Madonna sistina di Raffaello e umilissime stampe o addirittura frammenti di esse, processi dell’Inquisizione e carteggi privati, prediche e libri di ricordi, per delineare fra tardo medioevo e prima età moderna i nessi molteplici e talora sorprendenti che legano le immagini ai loro spettatori, ai loro possibili usi, alla loro fruizioni individuale e collettiva. Immagini per pregare e per chiedere; immagini apotropaiche (il san Cristoforo dei viaggiatori o il san Rocco contro la peste); immagini che si identificano a tal punto con ciò che raffigurano da essere abbracciate e baciate fino a consumarle; immagini sulle quali si traccia il graffito del proprio nome per ottenerne protezione; immagini per ringraziare, come nella miriade di ex voto che si affollano intorno alle icone dei santi; immagini della crocifissione con cui confortare fino all’ultimo istante i condannati al patibolo; immagini da cui trarre ingredienti di magiche pozioni, come per esempio la polvere di un marmo in cui fossero scolpiti Adamo ed Eva, vera e propria panacea per la vita amorosa. Non solo oggetti dello sguardo ma poderosi strumenti di vita interiore, come per esempio negli Esercizi spirituali di sant’Ignazio, e tali da diventare talvolta visioni, epifanie del divino, mistiche apparizioni, non di rado capaci di dar vita a loro volta a nuove immagini.

Il grumo di sentimenti e di emozioni che si coagulava intorno alle immagini sacre risulta tuttavia comprensibile solo grazie alla consapevolezza della distanza tra presente e passato. Una distanza che consente di percepire le differenze di un tempo in cui ogni casa ospitava immagini sacre e di un modo di sentire in cui le forme della devozione si basavano anzitutto sul vedere (di cui anche i filosofi e i teologi teorizzavano il primato sugli altri sensi), poi sostituito dall’udire o dal leggere. A ragione Michelangelo diceva che i fiamminghi dipingevano in modo "più devoto della maniera italiana", e lo stesso Pietro Bembo pregava davanti a un dittico di Hans Memling mentre scriveva le Prose della volgar lingua. Ma anche nella miserevole dotazione di suppellettili domestiche della più umile fantesca, oltre a una "lettiera salvatica di castagno" con "un mezzo saccone di paglia, una materassa vota vecchia, un copertoio vecchio e ripezzato, un panno rosso tristo e rotto", figurava una "tavoluzza di Nostra Donna vecchia".

Tutto ciò sarebbe cambiato nel ’500, quando da un lato i riformatori d’oltralpe scagliarono i loro fulmini antipapisti e iconoclasti sull’uso distorto, superstizioso e simoniaco delle immagini; e dall’altro - nella convinzione che quelle immagini fossero anzitutto dei "teologi mutoli", come ebbe a scrivere il cardinale Gabriele Paleotti - la Chiesa cattolica si impegnò per estendere anche ad esse i suoi scrupoli di rigorosa aderenza al testo biblico e di compunta castigatezza, il suo capillare controllo delle pratiche cultuali, i suoi compiti pedagogici, le sue ansie normative, la sua lotta contro il misticismo incontrollato e le finzioni di santità. Fu anche quello un modo di riconoscere il potere delle immagini, oggi trionfante, sulle cui origini questo libro indaga con finezza, mostrando una volta di più la grande capacità delle fonti iconografiche di offrire spunti preziosi e talora insostituibili per comprendere il passato, anche a prescindere dalla loro qualità artistica.