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 2011  giugno 19 Domenica calendario

PERCHÉ DICIAMO PERCHÉ

Interpellato da Moebius, la trasmissione di scienza di Radio24, Alessandro Bergonzoni ha lanciato la domanda: «Perché la scienza è sicura delle cose solo se le dimostra?». Troppo difficile? Allora meglio: «Perché la scienza?». Ancora più semplice? «Perché?». In realtà, così, la domanda, diventa più complessa. E persino più pregnante e profonda. La prima formulazione è anche un po’ ingenua. La scienza è sicura solo se dimostra! Dici poco! Dimostrare qualcosa non è affatto semplice, e dimostrarlo con certezza è ancora più difficile. Ma questo è il nucleo solo di una certa parte della scienza, costituito dalla matematica e dalla logica, le quali ottengono certezze, dimostrazioni di teoremi che valgono – verrebbe da dire – per l’eternità: una volta dimostrato, il teorema di Euclide vale per sempre. Come diceva Galileo, però, non ci sono solo le «certe dimostrazioni» ma anche le «sensate esperienze»: tutta una parte della scienza riguarda l’esperienza, cioè la possibilità di fare ipotesi interessanti e poi verificarle, o falsificarle, cioè ragionare per prove ed errori, come ci ha insegnato Popper e, prima di lui, Bacone, fondatore della scienza empirica moderna. Attraverso l’esperienza cerchiamo di capire come stanno le cose e spesso l’esperienza ci fornisce grandi confutazioni. Tale meccanismo virtuoso fa andare avanti la scienza: essa induce a un sapere critico ed espone a critiche anche feroci da parte di una comunità di eguali. «Perché la scienza?» è una domanda ancora più difficile. È infatti straordinario che un animale – l’uomo – a un certo punto si sia imbarcato nell’avventura ben poco "naturale" della conoscenza. Ancora oggi, quando diciamo che il sole sorge, diciamo una cosa antiscientifica, che riguarda però una sorta di scienza ingenua, utile per la vita quotidiana. È il nostro modo di percepire la realtà, che non è in realtà del tutto antiscientifico, ed è tutt’altro che insensato, ma che si basa su una serie di pregiudizi e di errori cognitivi. La difficoltà è riuscire ad astrarre e arrivare a verità che nella vita quotidiana non ci servono a nulla, ma che ci dicono come stanno davvero le cose, come sono fatti l’universo o la materia. «Perché?» è una domanda ancora più sottile, che ci fa capire qualcosa di profondo della natura umana. La parola «perché» è la chiave per farci accettare un ragionamento, anche se l’argomentazione non regge completamente. Lo ha provato un esperimento degli anni Settanta condotto da Ellen Langer, psicologa di Harvard. Gli sperimentatori chiedevano il permesso di passare davanti in una coda di persone in attesa davanti a una fotocopiatrice.

La percentuale di successo cresceva

quando nella domanda si usava la parola «perché», anche quando le motivazioni erano del tutto vuote, come: «perché devo fare delle fotocopie». «Perché» è quasi una parola magica, suadente. Ci fa vedere nelle azioni altrui qualcosa di motivato. Ed è forse da lì che nasce la voglia di cercare le vere cause di ciò che ci accade intorno.