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 2011  giugno 19 Domenica calendario

IL MIRACOLO «PRIVATO» DI BERLINO

In tutta Europa si discute di riforme economiche. In Grecia, alle prese con lo sconquasso finanziario. In Spagna, preoccupata dal contagio debitorio. In Francia e in Gran Bretagna, che temono un rimpicciolimento della loro economia e del loro peso politico. E la Germania? Di riforme in questo Paese si parla poco. In parte perché sono già state fatte. E in parte perché il buon andamento dell’economia asseconda la cautela del cancelliere Angela Merkel.

Mentre molti Paesi della zona euro fanno i conti con la stagnazione o addirittura la recessione, la Germania dovrebbe terminare l’anno avendo recuperato il terreno perso nel 2009 quando l’economia si è contratta del 4,7 per cento. Il 2010 si è chiuso con una crescita del 3,6%; il 2011 dovrebbe terminare con una ripresa della congiuntura superiore al 3 per cento. La disoccupazione è ai minimi dal 1990. Come in un gioco di specchi la situazione nella zona euro si è clamorosamente capovolta.

All’inizio dell’ultimo decennio, la Germania era la Schlusslicht Europas, il fanalino di coda dell’Europa; oggi ne è la Superstar, secondo le espressioni della stampa tedesca. I Paesi che prima sembravano imbattibili, dall’Irlanda alla Spagna, oggi sono alle prese con tassi di disoccupazione così elevati da riportare alla memoria la Grande depressione. Il merito del successo tedesco non va tanto al cancelliere Merkel quanto al suo predecessore Gerhard Schröder.

Commenta Dirk Schumacher, economista di Goldman Sachs a Francoforte: «Il Governo attuale sta beneficiando delle riforme economiche introdotte a suo tempo. Queste misure furono associate a una profonda ristrutturazione delle imprese. Non so quanto le misure governative sarebbero state efficaci senza il contributo sostanziale del mondo imprenditoriale». Tra le altre cose, il Governo introdusse contratti di lavoro a tempo parziale e determinato, riducendo anche il generoso welfare state.

Sfiancata dall’ingresso nella zona euro con un marco sopravvalutato e da un’unificazione costosa, la Germania ha fatto i conti con una lunga transizione. Solo nel 2006 il Paese è tornato a crescere in modo convincente, grazie anche alla scelta lungimirante di cavalcare la modernizzazione dei Paesi emergenti. Secondo Dalia Marin, dell’Università di Monaco, tra il 1994 e il 2009 il costo del lavoro tedesco rispetto a quello dei suoi concorrenti europei è sceso in termini reali del 20 per cento.

Tra il 2005 e il 2009, il Governo di grande coalizione tra socialdemocratici e democristiani non è rimasto con le mani in mano. Una riforma in particolare ha segnato quel periodo, quella del sistema pensionistico. Già nel 2000 Schröder aveva introdotto la pensione privata in un Paese nel quale l’assegno pensionistico pubblico era nato alla fine dell’Ottocento con Bismarck. Nel 2007, il Governo decise l’allungamento graduale dell’età pensionabile da 65 a 67 anni.

«A parte questa riforma - nota tuttavia Schumacher - poco è stato fatto, se non sul fronte del sistema sanitario. Ma anche in questo campo nulla di veramente significativo. La sanità tedesca è un sito in perenne costruzione: i Governi, siano essi guidati dalla Cdu o dalla Spd, ci mettono mano solo coprendo i buchi con misure di breve periodo. Più in generale, la verità è che l’economia sta andando bene e non c’è alcun incentivo per introdurre nuove riforme economiche».

Il Governo democristiano-liberale della signora Merkel è giunto al potere nel 2009 con l’ambizione di dare una nuova iniezione di competitività all’economia tedesca. Le cose però sono andate diversamente. La crisi ha costretto la maggioranza a concentrarsi sul breve termine: gli aiuti bancari, il sostegno alla domanda interna, il salvataggio di Grecia, Irlanda e Portogallo. In termini di politica economica l’esecutivo ha lavorato ai margini, riducendo per esempio i contributi pensionistici.

La grande riforma fiscale, promessa in campagna elettorale e che doveva rivedere le aliquote e semplificare detrazioni e deduzioni, si è trasformata in questi ultimi anni da bandiera della coalizione a fonte di tensioni senza fine nella maggioranza di centro-destra. L’aumento del debito e la crisi finanziaria hanno suggerito alla signora Merkel di congelare (per ora) le riduzioni delle imposte, anche per rispettare i limiti costituzionali sull’indebitamento introdotti dal precedente Governo.

A dire il vero, in un Paese federale come la Germania la politica economica dipende molto anche dalle regioni. Mentre i Länder stanno riformando con costanza e in profondità il sistema dell’istruzione, ferma è la riforma di un sistema bancario pubblico in mani regionali. Il Governo ha proposto una serie di fusioni e acquisizioni, con l’ingresso di capitale privato, per ora senza successo. Tuttavia, pressioni giungono dalla Commissione europea che chiede privatizzazioni in cambio di nuovi aiuti statali.

Alla cautela del cancelliere ha contribuito anche il difficilissimo rapporto proprio con il partito liberale. Ai minimi nei sondaggi e in crisi di leadership, l’Fdp ha radicalizzato le posizioni in molti campi, in contrasto con le tesi più centriste della Cdu. Qualche giorno fa, il Financial Times Deutschland parlava di una «relazione distrutta» con i democristiani del cancelliere. Più in generale, molti osservatori hanno puntato il dito contro una politica della signora Merkel troppo altalenante.

«I tedeschi - commentava di recente Dirk Kurbjuweit, editorialista di Der Spiegel - vivono nella più diretta delle democrazie ad avere visto la luce da quando i greci si riunivano regolarmente per discutere gli affari correnti circa 2400 anni fa». Il riferimento è all’attenzione della signora Merkel per i sondaggi d’opinione. Alcune delle decisioni più recenti - dall’abbandono del nucleare al bombardamento della Libia - sono tutte state prese con un occhio agli studi demoscopici.

Al di là del merito di alcune scelte, la politica del cancelliere mostra quanto sia sottile la frontiera tra pragmatismo e opportunismo. Negli anni la sua immagine è cambiata: liberista prima del voto del 2005, centrista negli anni della grande coalizione, conservatrice nel 2010 a ridosso di delicate elezioni locali, progressista ora, pur di coltivare il partito verde in vista del voto del 2013. «La sua è una politica senza emozioni che rischia alla lunga di non convincere», avverte Josef Joffe, editorialista di Die Zeit.

Evidentemente, il cancelliere non vuole subire la sorte di Schröder, sconfitto nel 2005 per riforme allora impopolari, oggi rivalutate. Ma quanto è veramente premiante la strategia della signora Merkel? La coalizione è debolissima nei sondaggi. La Cdu ha visto il numero degli iscritti scendere sotto ai 500mila per la prima volta dagli anni 70. Chissà se dopotutto agli occhi di molti tedeschi decisionismo sia meglio di status quo, qualche riforma meglio di nessuna riforma, anche in tempi di ripresa economica?