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 2011  giugno 20 Lunedì calendario

LAPIDATA PERCHÉ FA UN INCIDENTE


Basta soltanto essere accusati di aver bestemmiato contro la religione musulmana, come hanno fatto le colleghe di lavoro nei confronti di Asia Bibi, per essere condannati a morte in Pakistan. Dove in base all’assurda legge coranica le vittime diventano colpevoli e vengono giustiziate. Asia Bibi è una donna, cristiana, madre di 5 figli, arrestata nel giugno del 2009 e condannata il 7 novembre scorso dal tribunale di Nankana alla pena di morte per il reato di blasfemia per avere offeso il profeta Maometto. La sua storia, e la mobilitazione a livello internazionale per salvarla, sono abbastanza note. Ma in Blasfema, il libro-confessione (Mondadori, pp. 100, euro 16,90) che ha scritto insieme alla giornalista francese Anne-Isabelle Tollet, Asia solleva il velo sulla sorte di altre donne, sue compagne di cella, condannate alla pena capitale con motivazioni pretestuose. Secondo la Commissione Nazionale Giustizia e Pace tra il 1986 e il 2009 sono finite nella trappola di questa legge almeno 964 persone, 479 delle quali musulmane, con centinaia di processi celebrati e 43 casi di uccisioni extragiudiziali.
«Sono solo una donna nell’oceano di donne di questo mondo, ma sono convinta che il mio calvario sia lo specchio di molti altri», scrive Asia. Come quello di Zarmina, musulmana e accusata anche lei di blasfemia. Il motivo? Lei e il marito si erano appena sposati quando avevano avuto un incidente in moto a Sher Garh. L’uomo nell’impatto aveva perso il controllo del mezzo andando a sbattere contro un monumento dedicato a Maometto. Per fortuna sono usciti illesi ma entrambi, per questo episodio, sono stati condannati e sbattuti in prigione. Una notte, Asia sente delle urla provenire dalla cella accanto alla sua. Sono di Zarmina mentre viene uccisa.
Sono circa un centinaio le donne rinchiuse nello stesso carcere della Bibi, a Sheikhupura. Molte di loro sono accusate di adulterio anche se in realtà sono state stuprate. Vittime, dunque, considerate però colpevoli dalla legge islamica. Come la giovane Jasmine. «Sono stata violentata perché mio cognato mi ha accusata di avere una relazione con uno di un’altra tribù», racconta nel libro, «quando la notizia si è sparsa, mio padre si è rifiutato di consegnarmi e mi ha aiutata a scappare, ma il capotribù mi ha trovata. Mi ha sequestrata e violentata per un anno intero. Quando mi ha liberata, ho partorito un bambino, figlio suo. Poi sono stata messa in prigione».
Un’altra donna racconta che è stata condannata a cinque anni di galera per aver sporto denuncia dopo essere stata brutalmente violentata da due uomini che erano entrati in camera mentre dormiva. Si trattava di due proprietari terrieri che si contendevano la terra e l’avevano usata per un regolamento di conti. Una pratica molto diffusa nella regione del Punjab. In carcere ci è finita per non essere riuscita a produrre almeno quattro testimoni dello stupro come prevede la legge attuale.
D’altra parte, non meno assurdo è il motivo per cui è stata accusata Asia Bibi. «Sono condannata a morte perché avevo sete», fa sapere, «sono in carcere perché ho usato lo stesso bicchiere di quelle donne musulmane. Perché io, una cristiana, cioè una che quelle sciocche compagne di lavoro ritengono impura, ha offerto dell’acqua a un’altra donna». Anche nei casi, rarissimi, in cui qualcuno accusato di blasfemia viene poi assolto, la sua sorte è comunque segnata. «Il più delle volte chi è condannato per l’oltraggio supremo, che sia cristiano, indù o musulmano», spiega Asia, «viene ucciso in cella da un compagno di prigionia o da un secondino. Oppure viene immancabilmente assassinato appena lascia il penitenziario».
Non a caso, l’imam della moschea di Peshawar, Yousuf Qureshi, ha messo una taglia su di lei offrendo una ricompensa di 500 mila rupie (circa 4.500 euro) per chiunque la ucciderà. «Non capisco questo accanimento», commenta, «io, Asia, sono innocente. Comincio a chiedermi se, più che una tara o un difetto, in Pakistan essere cristiani non sia diventato semplicemente un crimine». Anche solo per difenderli, i cristiani, laggiù si rischia la vita. L’odio di cui è vittima la Bibi ha già provocato, nel gennaio scorso, l’assassinio del governatore (musulmano) del Punjab, Salman Taseer, e del ministro (cattolico) per le Minoranze religiose, Shahbaz Bhatti, trucidato a Islamabad. Ambedue avevano preso pubblicamente le difese della donna e sulla scia del suo caso si erano impegnati per abolire la legge sulla blasfemia con la quale qualunque cristiano (o indù) che dà fastidio può essere condannato a morte se due testimoni confermano l’accusa pretestuosa.
In attesa dell’appello e sfumata la possibilità che le venga concessa la grazia da parte del presidente Asif Ali Zardari, Asia Bibi chiede aiuto: «Ho bisogno di voi», scrive più volte in questo libro. Poi racconta che ogni giorno rischia la vita in carcere, una cella angusta, umida e piena di escrementi della prigione di Sheikhupura dove la sua vita si sta spegnendo lentamente.

Antonio Sanfrancesco