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 2011  giugno 20 Lunedì calendario

LE TRE SPINE DI OBAMA

"Double dip", doppio tuffo: nella recessione, s’intende. Il termine torna a incombere sull’economia americana e non solo. Le ultime previsioni del Fondo monetario internazionale pubblicate venerdì indicano che per il Giappone è già una certezza: l’effettotsunami è stato profondo, la crescita è passata al segno negativo invece di avere un aumento dell’1,4%.
Quest’anno l’economia nipponica arretrerà dello 0,7%. Per gli Stati Uniti al momento il Fmi si limita a prevedere un rallentamento nella crescita: 2,5% a fine anno anziché 2,8%. Ma altre correzioni al ribasso contribuiscono ad alimentare la preoccupazione: quella del Brasile ad esempio, che dovrebbe crescere del 4,1% anziché del 4,6%. La velocità brasiliana resta notevole però la spiegazione di quel rallentamento è tutt’altro che rassicurante. In allegato alle sue nuove proiezioni, il Fmi traccia infatti una nuova mappa dei rischi globali. Al primo posto mette l’imprevista debolezza della ripresa americana, più anemica rispetto a quanto sarebbe naturale aspettarsi (alla luce dell’esperienza storica) quando l’economia esce da una recessione.
Al secondo posto nella classifica dei grandi rischi il Fondo mette le bancarotte sovrane che minacciano l’eurozona (Grecia in testa) ma anche l’insostenibilità di lungo termine dei debiti pubblici americano e giapponese. Al terzo posto tra le mine vaganti che possono far deragliare la ripresa globale, le "bolle" dei paesi emergenti. Il Brasile è l’indiziato numero uno: l’alta inflazione più gli alti rendimenti più la moneta sopravvalutata contribuiscono a portare i prezzi (beni di consumo, immobili, attivi finanziari) oltre ogni ragionevolezza. Ma anche la Cina non scherza: basta guardare al sesto aumento consecutivo della riserva obbligatoria per le banche deciso dalla banca centrale di Pechino, per capire che i dirigenti non si sentono tranquilli di fronte al surriscaldamento della loro economia.
Il Fmi avverte che il risanamento dei sistemi finanziari è tutt’altro che compiuto e che lo spazio di manovra "per assorbire nuovi shock" si è fatto pericolosamente basso. Venerdì scorso diversi dati americani hanno dato ragione al Fondo confermando i motivi della sua preoccupazione. Il numero di richieste settimanali di indennità di disoccupazione si è attestato a 414.000 (nella settimana conclusa l’11 giugno) e qualsiasi cifra sopra i 400.000 significa che l’economia americana non sta creando occupazione aggiuntiva netta. E’ così dall’inizio di aprile e questo spiega il fatto che la disoccupazione sia ritornata a salire al 9,1% della forza lavoro. Fra i settori che continuano a esercitare un tremendo effetto di zavorra c’è l’immobiliare, un "buco nero" dal 2007: in maggio il livello delle costruzioni è rimasto al di sotto del 3,4% rispetto all’analogo mese del 2010, già depresso.
Tutto ciò si riflette sulla fiducia dei consumatori che continua a regredire ed è scesa da 74,3 punti a maggio a 71,8 a giugno. Tra le preoccupazioni dei consumatori c’è l’inflazione: se non la si depura delle voci più volatili come energia e alimenti, sta viaggiando al 4% annuo, livello insostenibile quando le buste paga della maggioranza degli americani continuano a ristagnare. Dunque, dopo il dato del Pil Usa nel primo trimestre, una modestissima crescita dell’1,8%, la delusione potrebbe riprodursi nel secondo. Tanto più che sul futuro pesano due incognite. La prima è il braccio di ferro tra l’Amministrazione Obama e i democratici da una parte, i repubblicani dall’altra, sul tetto del debito pubblico. L’America sta per raggiungere i 14.300 miliardi di debito pubblico complessivo, la soglia massima consentita dalla legge. Entro il 2 agosto occorre che il Congresso aggiusti quel livello, altrimenti il Tesoro non avrà l’autorità legale per emettere nuovi titoli e rifinanziarsi. I repubblicani hanno la maggioranza alla Camera e terranno duro, minacciando di non autorizzare l’innalzamento del debito se non ottengono in cambio pesanti tagli alla spesa pubblica e riforme strutturali in alcuni cardini del Welfare come il Medicare (assistenza sanitaria per gli anziani) e la Social Security (pensioni).
Quand’anche non si arrivasse alla paralisi totale, da qui al 2 agosto il "teatro Kabuki" della politica americana rischia di provocare parecchi brividi ai mercati finanziari, con i contendenti decisi a fare la faccia feroce fino all’ultimo secondo utile per strappare il massimo di concessioni.
La seconda incognita sull’economia americana riguarda la fine di quella droga chiamata "quantitative easing", cioè i programmi di riacquisto di titoli pubblici da parte della Federal Reserve che avevano pompato 600 miliardi di dollari di liquidità nell’economia a partire dal novembre scorso. Nessuno sa prevedere esattamente cosa accadrà quando verrà meno quel sostegno: è come staccare il respiratore artificiale. Su queste due incognite di breve periodo, si innestano cambiamenti più profondi e tendenze a lungo termine.
Stephen Roach, l’economista di Morgan Stanley, ha coniato il termine dei "consumatori zombie" per riferirsi all’aggiustamento profondo nei comportamenti di spesa delle famiglie americane. Nei 13 trimestri successivi all’inizio del 2008 la spesa annua per consumi degli americani è cresciuta appena dello 0,5%. E’ una debolezza nella domanda di consumo che non si era mai vista in America dalla fine della seconda guerra mondiale. La ragione ha a che vedere con il fatto che l’alta disoccupazione, la debolezza dei sindacati, le leggi antilavoro approvate negli Stati con governatori di destra, e l’effetto delle delocalizzazioni, hanno impedito sostanziali miglioramenti nel potere d’acquisto dei dipendenti. Ma un’altra ragione almeno altrettanto potente sta nel "rinsavimento" delle famiglie: che hanno finalmente capito di non poter più vivere al di sopra dei loro mezzi. E ne traggono le conseguenze, con una propensione al risparmio che sta risalendo rapidamente. Dai minimi storici del 2007, quando la quota di reddito risparmiata dagli americani era sotto zero (i debiti crescevano più dei risparmi), si è già risaliti al 5% di reddito messo da parte al netto dell’indebitamento. E’ ancora poco rispetto ad altri paesi, soprattutto alle nazioni asiatiche.
Ma è l’inizio di una rivoluzione per l’America. Il "rinsavimento" coincide non a caso con l’arrivo all’età pensionabile dei più anziani tra i babyboomer. La generazione più popolosa del paese inizia progressivamente a lasciare il mercato del lavoro, e ne trae le conseguenze con comportamenti più cauti. E’ questo insieme di fattori a segnalare l’avvento del consumatorezombie, un’immagine che Roach usa accostandola alla grande ritirata dei consumatori giapponesi durante il "decennio perduto" del Sol Levante, quando l’economia nipponica fu inchiodata alla crescita zero. Se la sindrome giapponese dovesse radicarsi nell’economia americana, le prospettive della crescita sarebbero davvero compromesse. Questa fragilità complessiva dello scenario aiuta a spiegare un paradosso: l’impatto esagerato che i timori di bancarotta della Grecia hanno avuto sui mercati globali e in particolare su Wall Street. La Grecia ha un Pil inferiore a quello della sola città di Los Angeles, una sua eventuale insolvenza dovrebbe avere conseguenze trascurabili sull’economia più ricca del mondo. Le reazioni esagitate di Wall Street indicano qualcos’altro: è l’America ad avere i nervi a fior di pelle, per motivi che vanno ben al di là del peso oggettivo della Grecia.