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 2011  giugno 20 Lunedì calendario

«IN CASA MIA VINCE STEFFI, A WIMBLEDON FEDERER»

A Wimbledon nel ‘92 si prese il primo Slam, a Parigi nel ‘99 chiuse il giro dei quattro «majors» («fu come scalare l’Everest») e si fidanzò con la vincitrice del torneo femminile, Steffi Graf, che oggi è sua moglie e la madre dei suoi due figli. L’Europa per Agassi è una questione di cuore, sempre. Ci è tornato per assistere a un torneo fra 16 giovani speranze organizzato da Longines, il marchio di cui è testimonial e che collabora alla sua fondazione per l’educazione ai bambini. «Cambiare la vita delle persone è un grande dono», dice a 41 anni, con gli occhi spalancati, da vecchio fanciullo che sul campo e fuori le ha viste tutte. «Nessun risultato sportivo ti dà la stessa sensazione».

Agassi, lei di sensazioni ne ha provate e fatte provare tante. Oggi direbbe ancora che «l’immagine è tutto», nello sport?

«Lo sport ha bisogno di rivalità, e nel tennis le abbiamo. A me non interessa vedere come una persona si atteggia, ma come è. Conosco Nadal, è un ottimo ragazzo, onesto, come Federer. Djokovic ha personalità, è se stesso. Nel tennis non abbiamo bisogno di gente con problemi».

Abbiamo bisogno di divertimento...

«Be’, io mi sono divertito a vedere Federer-Djokovic a Parigi…».

Scommetterebbe su Federer a Wimbledon a 29 anni? Lei a 33 era n.1.

«Difficile scommettere contro. Se avesse vinto con Nadal a Parigi lo avrei dato favorito, ma arrivare in finale gli ha dato fiducia. A 29 anni ha consumato il suo corpo un terzo di quanto avessi fatto io alla sua età, può dare ancora tanto».

Nadal chiede troppo al suo fisico?

«È un lottatore incredibile. Io se mi accorgevo di essere sotto in uno scambio lasciavo perdere, mi risparmiavo per il punto successivo. Nadal no, fa violenza al suo corpo. Adesso ha 25 anni, è in salute. Ma in un giorno può cambiare tutto».

Wilander sostiene che Djokovic è un mix fra lei e Connors, ma si muove meglio di tutti e due. È d’accordo?

«Ehi, Novak si muove meglio anche di Mats! Anzi: Djokovic si muove meglio di chiunque nella storia del tennis. Solo Nadal sulla terra gli si avvicina. Ma quest’anno Nole è impressionante».

Anche più veloce di lei?

«Io non ero neanche il più veloce della mia generazione: Chang e Sampras mi battevano. Il mio forte era picchiare la pallina, quello sì».

Parliamo di Murray, il ragazzo che «deve» vincere Wimbledon. Ce la farà? A Parigi è arrivato in semifinale.

«Ma a Wimbledon sarà un’altra cosa, dovrà lottare contro i propri fantasmi e la pressione di una nazione. Però al suo posto, con il tennis che è capace di esprimere, io mi sentirei male a non avere vinto uno Slam».

Cosa gli manca?

«Un allenatore che sappia tirargli fuori il meglio. Io ingaggiai Darren Cahill: avevo visto cosa era riuscito a fare con Lleyton Hewitt, uno che non sbaglia mai una scelta e sa attaccare appena possibile. Lleyton non ha tanta potenza, ma la sfrutta al massimo: Murray deve fare lo stesso».

Suo padre da bambino la costringeva a colpire 2500 palline al giorno. Si è mai sentito abusato?

«No, perché mi amava, era orgoglioso di me. Però abbiamo una concezione diversa del successo. Lui non voleva che pensassi, era convinto di avere tutte le risposte. E ancora lo è».

Che cosa ha dato e che cosa ha ricevuto dal tennis? Nella sua biografia «Open» ha scritto di averlo odiato.

«Sono passato dall’odiare il tennis a capire che il tennis mi ha dato la mia vita: mia moglie, la fondazione, il tempo di crescere i figli. Oggi posso guardare una partita e godermela. Spero di aver lasciato un tennis migliore».

Anche Steffi ha avuto un rapporto non facile con il padre, guarda caso oggi vi occupate entrambi di infanzia a rischio… «Steffi si occupa dei bambini nei Paesi tormentati dalla guerra: Kosovo, Eritrea, io dell’educazione dei bambini in generale».

Era un ribelle. Oggi si sente un educatore?

«Mi sento uno che facilita le cose a chi educa. Da un anno e mezzo lavoro con Canyon Capital, una società da 20 milioni di dollari che si occupa di aiutare chi opera nell’istruzione. Nei prossimi 3-4 anni costruiremo 65 scuole (Charter School) in America, 40 mila posti per ragazzi che non hanno un’alternativa per la loro educazione. Oggi ho 650 ragazzi nella mia scuola, ma ce ne sono migliaia in attesa: ne perdiamo ancora troppi».

Che tipo era l’Agassi tennista che portava il parrucchino in campo?

«Vivevo come in un vortice, non avevo il controllo di ciò che mi accadeva. Vengo da Las Vegas, una città dove se pensi una cosa, la puoi fare. Per me era così: quando perdevo la fiducia, bluffavo. E mi stupivo di come il bluff mi riuscisse bene».

E l’Agassi 41enne?

«La mia vita è più programmata, ma è un’avventura».

Sia onesto: c’è una cosa che fa meglio di sua moglie?

«Dipende dai punti di vista: il mio o quello di Steffi? Di certo non gioco meglio di lei. No, Steffi mi batte in tutto. Sceglie anche un sacco di cose per me, e ha sempre ragione».

Cosa le manca del tennis?

«La gente, le amicizie».

Era una star: non soffre a non essere più al centro dell’attenzione?

«Il momento del ritiro non è mai facile. Ma lontano dai riflettori si vive molto, molto meglio».