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 2011  giugno 20 Lunedì calendario

C’ERA UNA VOLTA LO STREGA

«I quattrocento e più Amici della Domenica? Io sono uno di loro. Forse quello con più anzianità di servizio. Ma ne conosco trenta, trentacinque. No, diciamo quaranta. Non di più». E questo che vuol dire? «Vuol dire che è cambiato tutto, non solo il premio Strega». Benedetto Marzullo, camicia a quadretti colorati, è seduto in un angolo del divano, illuminato dal sole che invade il suo salotto. Quartiere Vigna Clara, palazzina anni Sessanta.
Marzullo è un signore di ottantotto anni, scattante nel fisico, ma anche nel pensiero che vaga dai classici greci - li ha insegnati per decenni all´università - alle invenzioni del linguaggio contemporaneo, dalle discipline dell´antichistica e dal loro statuto epistemologico alle forme narrative di una scrittrice esordiente come Viola Di Grado, anni ventitré, autrice di Settanta acrilico trenta lana (edito da e/o). «L´ho votata nella selezione per la cinquina. Le prime pagine mi hanno infastidito, poi l´ho apprezzata. Questi giovanissimi autori hanno l´abilità dei giocolieri, forzano la lingua spudoratamente, irridendo il lettore, ma in seguito lo affascinano. E poi, i personaggi... Non esistono personaggi, ogni volta mutano, connotati proprio dal linguaggio». L´agilità di idee stupisce solo chi non conosce bene Marzullo. E non sa, per esempio, che questo illustre grecista, traduttore di Aristofane, è stato a Bologna il fondatore del Dams, alla fine degli anni Sessanta. Siamo qui per parlare dello Strega, ma appena può Marzullo infila nel discorso Umberto Eco e Tomás Maldonado, Alfredo Giuliani e Luigi Squarzina, gli insegnanti che coinvolse in quel progetto.
Marzullo, lei è il più antico elettore dello Strega. Ha qualche idea su come dovrebbe essere il premio?
«Non posso inventare proposte. Ai quattrocento della giuria dovrebbero dare una scheda ciascuno, con una serie di idee. Poi dovremmo incontrarci, discutere e confrontarci. E quindi decidere. Ma è proprio quel che non accadrà. I quattrocento non sono più un organismo».
Rappresentano tanti mondi. È inevitabile che sia così.
«Siamo troppi, troppo divisi».
Non era la stessa cosa nel 1946, quando il premio fu avviato?
«Macché. Eravamo qualche decina di persone. Ci incontravamo i giovedì e la domenica. Alle riunioni andavo sempre, anche quando insegnavo a Firenze o a Bologna. Leggevamo i libri dei candidati. E poi discutevamo. I presentatori dovevano compilare delle schede accurate di ogni romanzo. Altro che le due righe di oggi».
Lei partecipò alla nascita del premio?
«Sì. I Bellonci mi adottarono. Maria Bellonci poteva avere l´età di mia madre. Il marito, Goffredo, poteva essere un po´ più giovane di mio nonno. Erano figure paradigmatiche nella Roma di quegli anni, una città povera dal punto di vista materiale e culturale. Io avevo ventiquattro anni. Mi ero appena laureato in Filologia Classica a Firenze con Giorgio Pasquali».
Il primo vincitore fu Ennio Flaiano, con Tempo di uccidere. Poi fu la volta di Cardarelli, di Angioletti, di Alvaro, di Pavese e di Moravia.
«Concorrevano una quindicina di romanzi. Ma più che la gara, io ricordo le discussioni fra di noi. Casa Bellonci era la classica casa alto-borghese, ma intorno a noi, come ho detto, dominava una grande povertà. E noi reagivamo a questa povertà, anche a quella culturale. Se così posso dire, coltivavamo la letteratura dentro di noi. Sa una cosa?».
Che cosa?
«Lo Strega sembrava un avvenimento fuori dal comune. E per questo irripetibile. Io non credo che sia possibile riprodurre quel premio e quell´ambiente».
Sono cambiate la società italiana e la società letteraria. Non crede?
«È vero. Gli Amici della Domenica sono cresciuti fin quasi a decuplicarsi. Non ci sono solo più gli scrittori e i letterati. Hanno acquistato potere gli editori».
Be´, gli editori non sono estranei al mondo della letteratura.
«Sì, ma hanno altri interessi rispetto agli scrittori. Ricordo sempre quell´editore che venne da me per propormi di ristampare la traduzione delle opere di Aristofane da me curata. Un volumone. Io nicchiavo e lui replicò: "Lei sa scrivere, io so vendere"».
Gli editori la chiamano per avere il suo voto allo Strega?
«Ma che cosa vuole che conti un vecchio professore».
Almeno un voto, sicuramente.
«Sì, chiamano. Ma io prendo tempo, lascio cadere. Oppure è mia moglie che risponde al telefono, assicura che riferirà. Sono troppo vecchio per essere trascinato»
L´hanno chiamata gli editori della Di Grado?
«Non lo so. Forse. Ma io quel romanzo l´avevo comprato in libreria, prima ancora che me lo mandassero dalla Fondazione Bellonci».
Quando è cambiato il premio Strega? Quando è sopraggiunta Anna Maria Rimoaldi dopo la morte di Maria Bellonci, nel 1986?
«Con precisione non saprei. Ma direi prima di allora. A un certo punto si è affermata una nuova generazione, quella dell´industria del libro. Alla fine degli anni Sessanta vinse Alberto Bevilacqua (con L´occhio del gatto, era il 1968, n.d.r). Ci furono moltissime schede bianche, non ricordo quante, addirittura un centinaio, mi pare. In quell´occasione si cercò di far saltare il premio».
Anche lei votò scheda bianca?
«Votai per Bevilacqua. Quell´anno concorreva anche Teorema di Pier Paolo Pasolini, che poi clamorosamente si ritirò».
Insomma, lei che vota dal 1947 non ha una ricetta per il premio letterario più celebre e più discusso?
«Non può più tornare a essere quel che era. È cambiata completamente la fisionomia della cultura. Oggi la nostra comunicazione è affidata solo in parte alla letteratura».