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 2011  giugno 20 Lunedì calendario

MARADONA, IL GOL DI SEMPRE

Ne scartò cinque, ne sedette sei, ne segnò due, vinse una partita, pareggiò una guerra, sorprese un secolo. In dieci secondi e in 60 metri scavalcò e ridicolizzò 179 anni di saggi difensori inglesi, capitanati dalla Thatcher.
Shilton, portiere, ingannato dall´ultima finta, non voleva crederci e si mise a battere i pugni sul prato. Non sapeva ancora che lo aspettava l´etichetta "left behind". Victor Hugo Morales, telecronista argentino, nato in Uruguay, invece ci credette molto e si batté il cuore per far uscire lacrime: «Quiero llorar». Quello inglese, un po´ tonto, non capì che l´arte è una forma di inganno e disse all´inizio che Maradona gli sembrava "rickety". Traballante, come no. Burruchaga, numero 7, corse accanto a Diego per fare la sponda, ma subito si scostò, perché capì che il sicario non era stanco, né bisognoso di aiuto. La palla, che non era più di cuoio rimase lì, buona buona, attaccata ai piedi di Diego come un bimbo col padre sull´ottovolante, insieme attraversarono il campo, il tempo, un conflitto e l´oceano, e lei rimase male quando la corsa si chiuse, alle spalle della stanca difesa inglese, banalmente in una porta. Ancora, ancora, aveva voglia di dire a Diego: rotoliamo insieme, nel mondo, perdiamoci, navi senza porto. Gli slalom quando sono infiniti alla fine si scoraggiano, non trovando più niente e nessuno da scartare. Era il 22 giugno ‘86, quarti di finale mondiali, il sole scottava a Città del Messico, a volte le Waterloo hanno altre geografie e secondi tempi micidiali. Era il 55´, le Falkland tornarono Malvinas, un gol fece più di un esercito. L´Argentina non era più desaparecida. Quel sinistro buttato lì in corsa, prima di ruzzolare, riscattò la storia, invecchiò un´epoca, ringiovanì il futuro. Non era la fuga di un pazzo solitario, ma la cavalcata di un eroe che usciva dalla trincea e andava all´attacco.
«Io non ci riuscirei mai, finirei per rompermi una gamba», disse di quel dribbling e non solo di quello, monsieur Platini. E Zagallo, glorioso ct del Brasile, precisò: «Diavolo, non venite a dirmi che un tappo come lui, alto 1,70 è nato per il calcio, ha fatto una cosa eccezionale». Due per la verità, perché anche saltare così in alto, al 50´, sostituire la testa con la mano, ingannare l´arbitro tunisino, è roba da Houdini. Tutto in una partita, tutto in cinque minuti: male e bene, furbizia e esagerazione, dadaismo e astrattismo, trucco e capolavoro, pugno e carezza, comunque magia. Ha spiegato il regista Kusturica: «Maradona è scisso, molto più di noi, intensamente scisso, quella mano che ruba, quella serpentina che esalta, fa pensare a Marlon Brando, a un attore, Diego dovrebbe sempre giocare e l´arbitro non fischiare mai la fine della partita».
Un gol di rapina, da ribelle, violando le regole, un gol di bellezza, ristabilendo le regole, il più forte che si beve i più deboli. C´è sempre uno slalom, una fuga tra gli ostacoli, come una poesia che scappa, nelle classifiche del mondo. Anche Pelé ne segnò uno così il 5 marzo ‘61, assai bonito, contro la Fluminense, il più bel gol tra i suoi 1.282: zigzagò tra Valdo e Edmilson, lasciò indietro Clovis, Altair e Pinheiro, si liberò di Jair Marinho, scartò Castilho. Anche i suoi compagni Doraval e Coutinho, rimasero stupiti: «Sembrava una nave ubriaca che si divertiva tra le onde». Solo che il filmato di quel gol non c´è più, è stato rubato da un ladro, forse da un collezionista, che l´ha sostituito con un´altra azione. Mentre la rincorsa di Maradona c´è ancora, è una colonna sonora che resta e su quella sciagurata uscita di Shilton, che già vecchio allora (37 anni), fu avviato alla pensione da quel gol, ci hanno fatto un video-game.
Il gol del secolo ha generato una letteratura del secolo. Ne hanno scritto tutti: Galeano, Soriano, Montalbàn, Amis, piccoli e grandi, sudamericani e europei, in molti l´hanno anche cantato, con la faccia allucinata di Juanse, dei Ratones Paranoicos, dei Topi Paranoici. Se vai in Argentina e ti siedi al bar c´è sempre qualcuno che con carta e penna si mette a fare lo schizzo dell´azione, se chiedi a Jorge Valdano, numero 11 di quella nazionale, si metterà il dito sulla bocca, per farti capire che quello che si dissero quel giorno nello spogliatoio resterà segreto. Come se la lunga storia del gol più bello del mondo avesse ancora la palla al piede.

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SHILTON E L’INCUBO DOPPIO: «POTEVA ALMENO SCUSARSI -
BENEDETTO FERRARA
È un tipo con le tasche piene di record e con una parola maledetta infilata all´incrocio tra stomaco e cuore: handball. La storia della mano de dios, che poi era quella di Diego il mistico vendicatore delle Falklands. La partita era sempre quella: un gol di mano e uno da inchinarsi e ringraziare il piccolo riccioluto per essersi manifestato tra noi mortali. Hai voglia tu a snocciolare il curriculum, se quel giorno il tuo lavoro era quello di difendere la porta inglese c´è poco da fare: Handball, hand of god, mettila come ti pare. Una terribile ossessione, punto e basta.
Da un pezzo Peter Shilton gioca a golf, gira per conferenze con papillon al collo e sorrisone da attore navigato. Gli inglesi mica potranno mai dimenticarsi di lui, portierone classe 1949 che ci tiene parecchio ad essere ricordato per le sue 125 presenze in nazionale: una cifra da stringere saldamente tra i guantoni. Per non dire delle 1005 partite di Lega giocate nei 31 anni di carriera. Dal ‘66 al ‘97: dal Leicester City al Leyton Orient, terza divisione. Insomma, Mister Shilton, faccione alla Elliot Gould e quintali di fango sulle ginocchia, non nasconde un ego orgoglioso, anche perché poi sa bene che va sempre a finire che c´è qualcuno pronto a ricordargli quel giorno di giugno del 1986 e quella partita che ha fatto entrare Diego Armando nella leggenda e lui nel giro infinito di domande del tipo: ma Maradona le ha mai chiesto scusa per il fattaccio? «No, non lo ha mai fatto. Si è scusato sui giornali, ma 22 anni dopo. Troppo tardi. Una delusione: un campione come Pelé lo avrebbe fatto subito».
Sì, quella mano non si dimentica. «Più che altro - ha sempre detto l´ex portiere - avendo 31 anni di carriera alle spalle, non mi piace essere ricordato sempre per quell´incidente». Ma la verità è che Shilton sa anche scherzarci su. Altrimenti, nel frattempo, si sarebbe fottuto il fegato. Una volta si è fatto intervistare su un campo di pallone da un cronista attore (con tanto di parrucca alla Maradona) per mettere in piedi una specie di moviola surreale. E Shilton che racconta: «Dopo quel gol di mano sono rimasto lì ad aspettare che l´arbitro fischiasse. Quando ho visto che non accadeva ho guardato il guardalinee aspettando che alzasse la bandierina. Niente. Sembrava uno scherzo gigantesco». Insomma, la mano de dios per Peter resta una maledizione. «Tempo fa fui invitato a partecipare a uno show di Maradona. Io ho detto ok, ma solo se chiede scusa per quella mano. Le scuse non sono mai arrivate, io non ho partecipato allo show». Eppure Shilton dovrà farsene una ragione. Vendette divine a parte, davanti al mondo Diego si scusò a modo suo con una rete da leggenda buona a far dimenticare una pessima furbata. Ma vallo a spiegare al portiere e ai suoi compatrioti. No, meglio lasciar perdere.