Michele Brambilla, La Stampa 19/6/2011, 19 giugno 2011
Dice la leggenda che Sant’Ambrogio, lasciando Monza, non lasciò una benedizione, ma una maledizione: «Sarete sempre una città di poveretti»
Dice la leggenda che Sant’Ambrogio, lasciando Monza, non lasciò una benedizione, ma una maledizione: «Sarete sempre una città di poveretti». Vero o falso che sia l’aneddoto, è un fatto che da allora i rapporti tra Milano e Monza non sono mai stati buoni; perfino tra cristiani, se è vero che ancora oggi la Chiesa monzese, pur facendo parte della diocesi milanese, segue il rito romano e rifiuta quello ambrosiano. Non parliamo poi dei rapporti fra commercianti. Sempre una leggenda ma questa volta forse più verosimile - dice che nel 1964, quando a Milano venne inaugurata la metropolitana, furono i commercianti monzesi a non volere il prolungamento della linea. Erano terrorizzati dal pensiero che, potendo andare rapidamente a Milano - dove c’era più scelta e perfino più possibilità di risparmiare - i monzesi non avrebbero più fatto la spesa nella loro città. Ancora oggi la metropolitana milanese a Monza non arriva. Arriva in paesi che si chiamano Cassina de’ Pecchi, Vimodrone, Gorgonzola, Gessate, Bussero e così via: ma non a Monza, che pure ha quasi centotrentamila abitanti ed è, per popolazione, la terza città della Lombardia dopo Milano e Brescia. Probabilmente non c’è al mondo un caso analogo di una città di 130 mila abitanti che non sia collegata a una metropoli di quasi due milioni di abitanti distante solo quattro o cinque chilometri da confine a confine. Sono nato e cresciuto a Monza e so, purtroppo, quanto pesi questo (voluto, incredibilmente) isolamento. Oltretutto, la situazione è andata via via peggiorando nel tempo. Mio nonno faceva il valigiaio a Milano, in una traversa di corso Buenos Aires, e abitava a Biassono, in Brianza, oltre Monza: a mezzogiorno faceva in tempo ad andare a casa a pranzo con il tram. Poi sono nato io ed è sparito pure il tram, per andare a Milano bisogna infilarsi in tangenziale e maledire i commercianti del 1964. Monza ha avuto il suo momento di semi-gloria nell’Ottocento, quando prosperava l’industria del cappello ed era chiamata la «Manchester d’Italia». Ma poi i maschi hanno cominciato a non mettere più il cappello, e le industrie hanno chiuso. E così Monza ha dovuto sempre affidare la propria notorietà a gente venuta da fuori: ai Savoia che ci venivano d’estate nella Villa costruita dagli austriaci; all’anarchico toscano Gaetano Bresci, che qui uccise re Umberto I, davanti alla palestra Forti e Liberi, il 29 luglio 1900; e ai milanesi, che negli Anni Venti vollero costruire nel Parco (anche quello opera di forestieri: i francesi) il celeberrimo autodromo. Pochi anche i monzesi illustri. Per dire: il più famoso tra i viventi è Adriano Galliani.