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 2011  giugno 19 Domenica calendario

DAL NOSTRO INVIATO NEW YORK—

«Adesso avete afferrato il concetto?» ha chiesto ironicamente Barack Obama ai cronisti ammessi ieri per qualche minuto sul «green» quando il vicepresidente Joe Biden ha realizzato la prima buca nella sfida golfistica col capo della maggioranza repubblicana alla Camera, John Boehner. Come a dire: questa è una partita vera, altro che «diplomazia del golf» per rabbonire gli avversari del fronte conservatore che al Congresso fanno muro contro l’aumento del tetto del deficit pubblico e attaccano il presidente sulla Libia. Poi, però, la stampa è stata allontanata e a fine partita la Casa Bianca ha fatto sapere che, in realtà, Obama e Boehner hanno giocato insieme, sconfiggendo alla diciottesima buca l’altra coppia composta da Biden e dal governatore (repubblicano) dell’Ohio, John Kasich. Si sono equamente divisi il premio pattuito: 4 dollari, due a testa. Una semplice esibizione a uso dei media? Obama non sarebbe il primo presidente a sfidare un avversario per compiacerlo e ottenere un risultato politico. Nel 1965 Lyndon Johnson conquistò i voti che gli mancavano per far passare la legge sui diritti civili invitando i parlamentari recalcitranti a giocare con lui. Ma il match di ieri non può nemmeno essere liquidato come una banale manovra di pubbliche relazioni: non somiglia, insomma, alla partita a ping pong giocata poche settimane fa a Londra da Obama e dal britannico David Cameron — insieme contro due studenti— servita proprio a dare l’immagine di due leader legati da un rapporto che è ormai anche di confidenza personale. Il golf è una cosa seria per gli americani e per gli stessi presidenti: otto degli ultimi dieci (uniche eccezioni Reagan e Carter) l’hanno praticato con impegno, quasi mai con obiettivi diplomatici. Il secondo fine, quando si impugna una mazza, può esserci, ma è soprattutto quello di scrutare l’avversario, capire le sue debolezze caratteriali. Gli americani dicono che le partite sul «green» sono una finestra aperta sul temperamento dei giocatori: l’imprenditore o il politico che scende in campo rilassato dopo una dura settimana è un libro aperto con le sue reazioni, i gesti di stizza, le battute dopo un errore o un colpo magistrale. Obama lo sa bene e infatti, quando gioca, evita di far vedere i suoi colpi ai giornalisti del «pool» che lo segue ovunque. Certo, la Casa Bianca ha organizzato il match con l’obiettivo politico di rendere più fluidi i rapporti tra due leader che si stimano e si rispettano, ma si conoscono poco. Nessuno si aspettava che le conversazioni a margine delle quattro ore di gioco sul campo della base aerea di Andrews bastassero a colmare il fossato tra i repubblicani e il presidente. E Boehner, leader pragmatico ma che ma ha il fiato sul collo della destra radicale e ideologica dei «Tea Party» , farebbe un autogol se desse l’impressione di ripagare con qualche concessione l’attenzione riservatagli da Obama. Al tempo stesso, però, è difficile immaginare che quella coppia presidente speaker della Camera che ieri zigzagava tra i campi a bordo di un «cart» , uno col braccio sulla spalla dell’altro, tra qualche giorno possa scontrarsi fino a far precipitare l’America nel dramma del «default» sul suo debito pubblico. Sicuramente sul campo i due si sono chiariti le idee sui passaggi che nelle prossime settimane dovrebbero consentire di disinnescare la mina dei conti federali. Grazie anche a Biden, «convocato» ieri da Obama perché sta gestendo in prima persona la trattativa governo-Congresso sul bilancio federale, oltre che per il fatto di essere un golfista più forte di Boehner (29esimo nel ranking dei giocatori amatoriali di Washington mentre il leader repubblicano è 43esimo) e quindi utile per bilanciare il match, visto che Obama in classifica è molto più giù, al posto numero 108. Ma un chiarimento non è un accordo. E comunque, prima del debito, Obama dovrà affrontare le ire del Congresso che contesta la legittimità dell’intervento Usa in Libia in assenza di un voto parlamentare. Il presidente si è difeso inviando alle Camere un parere dei giuristi della Casa Bianca a sostegno della sua tesi. Ma ieri il New York Times ha rivelato che gli avvocati del governo si sono divisi su quel parere. Massimo Gaggi