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 2011  giugno 20 Lunedì calendario

APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 20 GIUGNO 2011- 1890,6

miliardi di euro: è questo il nuovo record stabilito ad aprile dallo stock del debito pubblico italiano (dati elaborati dalla Banca d’Italia e contenuti nel supplemento Finanza Pubblica al Bollettino Statistico dell’Istituto). Rispetto a marzo, quando il debito era sceso a 1868,2 miliardi, c’è stato un aumento di oltre 22 miliardi; dalla fine del 2010, quando si era attestato a 1843 miliardi, l’aumento è del 2,5%. [1] Per la prima volta da gennaio, mercoledì la differenza nei rendimenti dei titoli di Stato italiani rispetto al bund tedesco (spread) ha superato i 200 punti base, a indicare un maggior premio chiesto dai mercati per investire sul nosto debito. Enrico Marro: «Niente di drammatico, per carità, rispetto allo spread richiesto sui titoli irlandesi (862 punti in più rispetto al bund) o su quelli portoghesi (790) o infine su quelli spagnoli (280), ma comunque un campanello d’allarme». [2]

«Italia e Germania sono fra i Paesi che stanno facendo progressi più rapidi del previsto nel risanamento dei conti pubblici» ha detto venerdì pomeriggio Carlo Cottarelli, direttore del dipartimento fiscale del Fondo monetario. Alessandro Merli: «Nell’aggiornamento del suo Fiscal Monitor, l’Fmi prevede che il deficit pubblico italiano chiuderà il 2011 al 4,1% del prodotto interno lordo (dal 4,5 dello scorso anno) e il 2012 al 3,2%. Si tratta di un miglioramento rispettivamente dello 0,2 e dello 0,3% rispetto alle stime avanzate nell’aprile scorso e viene attribuito dall’Fmi soprattutto a una più rapida attuazione dei piani di tagli alla spesa pubblica». Pressoché immutate le aspettative dell’Fmi sulla crescita, il principale punto debole del quadro economico del nostro Paese: 1% quest’anno (contro il +2 della Zona euro, il +2,1 della Francia, il +3,2 della Germania), 1,3% il prossimo. [3]

Poche ore dopo la rassicurante osservazione del Fondo monetario, Moody’s (la più importante agenzia di valutazione internazionale) ha annunciato venerdì sera che sta valutando il possibile declassamento del debito pubblico italiano. Merli: «Moody’s offre tre spiegazioni: le difficoltà della crescita, dovute a debolezze strutturali e al probabile aumento dei tassi d’interesse; i rischi per la realizzazione dei piani di risanamento fiscale, rischi dovuti fra l’altro all’indebolimento dell’appoggio dell’elettorato al Governo; il contagio che viene dalla periferia di Eurolandia e che può coinvolgere prima di tutto i Paesi ad alto debito, come l’Italia». [4]

Le agenzie di rating non sono completamente affidabili: nel 2007, per dire, furono incapaci di prevenire la crisi dei mutui subprime. Jean-Paul Fitoussi, professore all’Institute d’études politiques di Parigi e docente di international economic policy all’università Luiss di Roma: «Ma perché dobbiamo ancora prendere sul serio le agenzie di rating? Perché l’Italia e gli altri grandi paesi non le lasciano parlare senza prendersi troppe paure o preoccupazioni? L’Italia non ha problemi di liquidità né di solvibilità e dunque?». [5] Federico Rampini: «Ciò non toglie nulla alla loro rilevanza nel dettare opinione sui mercati globali. Va ricordato che negli Stati Uniti fu inaugurata molti decenni fa la regola per cui i grandi investitori istituzionali (fondi pensioni, assicurazioni) possono detenere nei loro portafogli solo titoli con un certo rating». [6]

Il criterio americano è divenuto una regola quasi universale, adottata in Europa anche da un’istituzione centrale come la Bce. Rampini: «Dunque un declassamento del rating può avere conseguenze enormi, tagliando fuori una nazione dalle fonti di finanziamento internazionali». [6] Il primo conto (acconto) ci verrà presentato con le nuove aste di Bot e Ctz (oggi), Btp e Cct (domani). [7] Fitoussi: «Gli effetti di un declassamento, soprattutto in questa fase così delicata, possono essere importanti, certo. Ma in buona misura dipendono più dalla reazione degli altri paesi dell’Europa che dai mercati. In che senso? Il livello dei tassi dipende da quello che fa l’Ue, i mercati seguono. Se si lasciano divergere i tassi nazionali allora ci sono i problemi. Ma se i tassi, anche per Atene, fossero allineati alle medie europee, oggi non saremmo qui a parlare di rischio default». [5]

Moody’s non è la sola agenzia di rating a mostrare dubbi sul futuro del nostro debito: il 21 maggio anche Standard & Poor’s aveva declassato le nostre prospettive economiche. In quei giorni Moody’s si era dissociata spiegando che il rating a quota Aa2 era sostenuto da una economia molto avanzata, dal punto di vista delle dimensioni e della diversificazione. Elena Polidori: «Certo, sulle spalle del paese pesava un “debito monstre”, che poneva limiti allo spazio di manovra fiscale del governo. Ma più del 50% di questo debito è in mano ai cittadini italiani, con scadenze lunghe. Dunque nessun particolare problema. Anche Fitch aveva lasciato invariato il suo giudizio: “Non c’è nessuna evidenza che la situazione di bilancio si stia deteriorando”». Le cose sono cambiate dopo la batosta subita dal centrodestra alle amministrative. [8]

Il “review for possible downgrade” (la decisione sull’abbassamento del rating) si risolve di regola in 90 giorni. [9] Paolo Baroni: «Da Aa2 potremmo scendere di un gradino, ad Aa3. Declassati insomma, mandati in quarta serie. Cosa che non accadeva da oltre 15 anni, visto che le due precedenti revisioni, quella del 1996 e quella del 2002, erano state al rialzo. Traduzione: minore affidabilità, voto più basso e quindi maggiore spesa per pagare gli interessi sul debito». [10] Paradossalmente, i passi compiuti dalle agenzie di rating e l’aumento della tensione sui mercati potrebbero alla fine tornare utili al ministro del Tesoro. Enrico Marro: «Adesso sarà più difficile dare addosso a Giulio Tremonti perché non allarga i cordoni della borsa». [2]

Da settimane sono in corso i negoziati per ristrutturare il debito pubblico della Grecia. Tito Boeri: «Ci sarà dunque il precedente di un Paese dell’area dell’euro che in parte rinnega gli impegni presi con chi ha acquistato i titoli di Stato. I divari fra gli interessi sui titoli di Stato tedeschi e quelli dei Paesi a rischio sono ai massimi. Basta un nonnulla per fare lievitare la nostra spesa per interessi, portando via risorse che potrebbero essere destinate a qualcosa di meglio che remunerare investitori per lo più residenti all’estero. Il nostro governo ha già preso l’impegno di azzerare il deficit entro il 2014 e adesso è tenuto a chiarire come intende raggiungere questo obiettivo per indurre gli investitori a comprare i nostri titoli di Stato». [11]

Per ottenere entro il 2014 il deficit zero la Commissione Europea raccomanda il taglio delle spese piuttosto che l’aumento delle tasse. Mario Baldassarri: «I tagli della spesa, a loro volta, possono essere “lineari, orizzontali, percentuali” su tutte le voci di spesa, oppure “verticali, mirati e specifici” su precise voci più sospette di contenere sprechi, malversazioni, aree grigie tra economia e politica, tra economia e politica e organizzazioni criminali. Nel primo caso non si tratta di politica economica perchè tagliare “tutto in proporzione” significa non scegliere “nulla”. La politica, invece, è “scegliere” o, come diceva Luigi Einaudi, “prima conoscere, poi decidere”». [12] Tremonti: «È facile dire no ai tagli lineari ma quando vai a parlare uno ti dice sempre “taglia l’altro”». [13]

Fino a tre punti del Pil: tanto dovremo ridurre nei prossimi tre anni la spesa pubblica. Dato che la spesa per investimenti è già ai minimi storici, dovremo concentrarci sulla spesa corrente. Boeri: «La spesa corrente è di poco inferiore a metà del reddito nazionale, quindi per risparmiare tre punti di Pil, bisogna tagliare le spese di almeno il 6 per cento. Se togliamo gli oneri sul debito pubblico (che non possiamo toccare, ma solo sperare di abbassare con comportamenti virtuosi), la spesa corrente è fatta per più del 40 per cento di pensioni. La parte restante è rappresentata dalla spesa per beni pubblici quali difesa, istruzione, giustizia, sanità, ambiente, cultura, ammortizzatori sociali e assistenza. Tremonti, alla festa della Cisl, ha sostenuto che non intende toccare le pensioni. Questo significa che si sta prendendo in considerazione un taglio della spesa per istruzione, sanità, giustizia e degli altri beni pubblici dell’ordine del 12 per cento in un triennio». [11]

In testa ai costi da ridurre, ci sono quelli per la politica. Sergio Rizzo: «Tremonti ha sperimentato direttamente quanto sia difficile entrare con i fatti nella carne viva degli scandalosi costi della politica. Con la manovra finanziaria dello scorso anno aveva provato a tagliare del 50%i generosissimi “rimborsi elettorali” , come si chiama ipocritamente il finanziamento pubblico, riconosciuti per legge ai partiti politici, cresciuti fra il 1999 e il 2008 del 1.110%, mentre gli stipendi pubblici aumentavano del 42. Ebbene, il taglio è stato prima ridimensionato al 20%, quindi al 10 per cento. Per non parlare della norma che avrebbe riportato le spese di palazzo Chigi, in alcuni casi letteralmente impazzite, sotto il controllo del Tesoro: saltata come un tappo di champagne. Ciò non toglie che quell’“articolato” prima o poi andrà fatto. Perché qui ci va di mezzo, secondo lo stesso Tremonti, la credibilità della politica e del governo». [14]

Allineare le retribuzioni per tutti gli incarichi pubblici alla media europea. È questa una delle proposte di Tremonti. Sergio Rizzo: «Da anni le Camere non promettono che tagli, limitandosi però a indolori sforbiciatine. Guardiamo i bilanci. Le spese correnti della Camera, che nel solo 2010 ha tirato fuori 54,4 milioni per gli affitti, sono previste passare da un miliardo 59 milioni del 2010 a un miliardo 83 milioni nel 2012: +2,3 per cento. Quelle del Senato, che negli ultimi 14 anni ha sborsato 81 milioni per gli uffici di 86 senatori, da 576 a circa 594 milioni: +3,6%. La Camera dispone di 20 auto blu con 28 autisti e i deputati che hanno il diritto a utilizzarle sono soltanto 63. Il machete potrebbe calare, forse a maggior ragione, anche in periferia. Dove gli sprechi della politica sono inimmaginabili». In Lombardia un dipendente regionale costa a ogni cittadino 21 euro, in Sicilia 353. [14]

Note: [1] la Repubblica 15/6; [2] Enrico Marro, Corriere della Sera 18/6; [3] Alessandro Merli, Il Sole 24 Ore 18/6; Paolo Baroni, La Stampa 18/6; [4] Alessandro Merli, Il Sole 24 Ore 18/6; [5] Davide Colombo, Il Sole 24 Ore 18/6; [6] Federico Rampini, la Repubblica 18/6; [7] Elena Polidori, la Repubblica 18/6; Paolo Baroni, La Stampa 18/6; Giovanni Stringa, Corriere della Sera 18/6; [8] Elena Polidori, la Repubblica 18/6; [9] Isabella Bufacchi, Il Sole 24 Ore 18/6; [10] Paolo Baroni, La Stampa 18/6; [11] Tito Boeri, la Repubblica 13/6; 12] Mario Baldassarri, la Repubblica 13/6; [13] Luisa Grion, “la Repubblica” 15/6; [14] Sergio Rizzo, Corriere della Sera 15/6.