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 2011  giugno 18 Sabato calendario

QUEI CONDONI NON FINISCONO MAI


Condonati nel 2002, non versati, sanzionati, iscritti a ruolo e ancora incassati soltanto nella percentuale del 17,8%.

Tanto da far ritenere che di questo passo, per fare affluire nelle casse dello stato gli oltre 5 miliardi di euro che ancora mancano per chiudere la partita delle sanatorie fiscali di quasi dieci anni orsono sarà necessaria nella migliore delle ipotesi ancora una dozzina d’anni.

Cioè nel 2023, a distanza di ventuno anni dalla legge 289 del 2002 che il parlamento approvò successivamente alla riforma fiscale messa a punto dall’allora (e ancora oggi) ministro dell’economia Giulio Tremonti. È la Corte dei conti, nella sua ultima relazione «Programmi e risultati per il recupero delle rate di condono non versate», a mettere in luce l’ultima verità sulla capacità di riscossione dello stato. Una capacità scarsa, anzi scarsissima e che malgrado l’accelerazione registrata, con tassi di crescita dello 0,2%-0,3% nei bimestri centrali dell’anno scorso, resta ancorata a velocità da traffico cittadino nell’ora di punta. Con grande scorno non soltanto delll’amministrazione finanziaria, che pure dei 26 miliardi attesi dai condoni del 2002 ha incassato il 76,9%, cioè 20 miliardi, ma anche di quei contribuenti già sottoposti a ganasce fiscali, pignoramenti e molto altro ancora, magari per piccoli debiti nei confronti del fisco. Non è un caso che la Corte dei conti, nella sua relazione, inviti il governo e il parlamento a escludere dal decreto legge sviluppo la possibilità che le rate non versate dei condoni del 2002 siano beneficiate dalla norma che assoggetta a ipoteca soltanto i crediti superiori a 20.000 euro. «Va segnalata, al riguardo la possibilità che, in sede di conversione del recentissimo decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70 cosiddetto Decreto Sviluppo, l’ipoteca venga limitata ai crediti superiori ai 20.000 euro», scrivono i magistrati contabili. «È auspicabile che tale modifica non riguardi la fattispecie delle rate da condono non versate». La Corte, del resto, in quella che sembra una vera requisitoria parla di «percentuali mensili di incremento della riscossione specifica esigue», di una «proiezione nel tempo della definitiva riscossione, ai ritmi rilevati, che pone un orizzonte (teorico) di circa dodici anni». Si tratta, prosegue la relazione, di «una durata inaccettabilmente lunga, anche in considerazione del fatto che la letteratura sull’istituto dei condoni individua, tra i motivi giustificativi della loro adozione, un’accelerazione del gettito nel breve periodo, rafforzata dall’aspettativa dell’emersione strutturale della base imponibile». Se insomma l’operazione di recupero dei soldi fosse stata condotta in tempi accettabili, adesso l’erario si troverebbe ad affrontare problemi meno pressanti nella sua quotidiana lotta contro l’evasione e soprattutto contro il deficit di bilancio. E invece, anche per i tempi biblici già trascorsi, «gli aumenti complessivi crescenti degli importi di riscossione nei periodi considerati» sono controbilanciati «in diminuzione dagli sgravi concessi per la inesigibilità delle somme», nota la magistratura contabile. Che aggiunge: «È possibile constatare come le dinamiche temporali connesse al fenomeno condono contribuiscano di fatto a determinare una elevata vetustà dei ruoli pregiudicando l’azione di recupero che ha tra i suoi fattori critici di successo proprio la tempestività». Senza trascurare il fatto che le procedure prescelte per quelle sanatorie, definite «eccessivamente complesse o protratte nel tempo», hanno impedito finora di far funzionare a regime, per i condoni del 2002 «gli innovativi strumenti atti a rafforzare significativamente i poteri degli agenti della riscossione», scrive ancora la Corte dei conti. «Tale strumentazione, costituita sia dalla possibilità di iscrizione di ipoteca sia dall’accesso all’anagrafe, è risultata, tuttavia, utilizzata ancora in maniera parziale e limitata». Detto questo, però, la relazione è piena di buoni consigli per l’amministrazione finanziaria. soprattutto in un momento come quello attuale, che rende necessaria una manovra complessiva di circa 40 miliardi di euro nel prossimo biennio. A Equitalia, i magistrati ricordano che per i furbetti del fisco beneficiati dal meccanismo «determinato dalle stesse previsioni normative della legge n.289/2002, le quali consentivano di versare gli importi dovuti anche in forma rateale e stabiliscono, inoltre, che con il versamento della prima rata contestualmente alla presentazione della dichiarazione integrativa, la controversia risulta estinta, e il relativo condono diviene definitivamente efficace anche sotto l’aspetto penale, dei reati tributari e non tributari connessi», c’è sempre la possibilità di punizione:«L’ufficio, qualora venga a conoscenza di nuovi elementi reddituali o patrimoniali riferibili allo stesso soggetto, può reiscrivere a ruolo le somme già discaricate, purché non sia decorso il termine di prescrizione decennale». Una giusta punizione, rapida ed efficace. Perché ormai, «quando il contribuente è tornato in bonis e il credito del fisco nei suoi confronti è ingente, l’eventuale reiscrizione delle quote discaricate potrebbe oggi fondarsi su una applicazione informatica, con costi di gestione molto bassi».

Giampiero Di Santo