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 2011  giugno 18 Sabato calendario

DAL NOSTRO INVIATO

Aruba, 18 giugno. Il tailleur nero indossato da Sean Young nel primo incontro con il poliziotto Harrison Ford in Blade Runner , la felpa di Jennifer Beals in Flashdance , il giubbotto di pelle color prugna di Brad Pitt in Fight club . E poi le divise dell’equipaggio di Star Trek , i completi Anni 40 di Pearl Harbour , gli abiti scintillanti di cristalli di Burlesque . Michael Kaplan, il costumista premiatissimo che ha inventato tutto questo, impegnato a Hollywood dal 1981, protagonista in questi giorni dell’Aruba Film Festival, ha una sua regola imprescindibile: «Quando si lavora con gli attori bisogna essere psicologi, comprendere le loro insicurezze, farli sentire a proprio agio nel vestito che devono indossare. Non è facile, io ripeto sempre che loro devono essere felici, ma devo esserlo anch’io». Spesso bisogna venirsi incontro, magari facendo uno sforzo per capire il motivo di un’impuntatura: « Bladerunner è un thriller ambientato nel futuro, un film noir di fantascienza, la sceneggiatura faceva pensare a Humphrey Bogart, a Sam Spade, a quel tipo di storie, per questo, quando abbiamo iniziato a pensare ai vestiti di Deckard, ci è sembrato logico mettergli un cappello in testa. Ma Harrison Ford non ne voleva sapere, si è opposto con tutte le sue forze. Alla fine ci ha spiegato il perché: aveva indossato il cappello per 6 mesi sul set dei Predatori dell’arca perduta , non ne poteva più».

Il look del film è rimasto memorabile, con i completi di Rachel immortalati sulle copertine delle più importanti riviste del mondo. Perché il cinema inventa spesso le mode, o, meglio, interpreta e anticipa i sentimenti del pubblico in quel preciso momento storico e li traduce nel linguaggio più chiaro che esiste, immagini, colori, forme: «Ho un’immensa biblioteca di libri sull’argomento, mi capita di andare a vedere le sfilate, ho un sacco di amici stilisti e naturalmente, prima di iniziare i costumi per un film, faccio, insieme ai miei assistenti, un gran lavoro di documentazione». Però non sono queste le cose più importanti: «Quello che conta è far emergere il personaggio, cogliendone al meglio i sentimenti, le emozioni. Non voglio certo paragonarmi a Michelangelo, ma quando ho davanti una sceneggiatura e devo disegnare, mi viene in mente quella sua frase sul blocco di marmo che già contiene la statua e bisogna solo farla venire fuori». Un’impresa artistica fatta di dettagli preziosi: «Per Flashdance dovevo immaginare qualcosa di comodo, di caldo, la storia si svolge a Pittsburg, e anche di semplice, perché Alex è una ragazza che lavora, con poco tempo a disposizione. E’ venuta fuori quella felpa, tagliata in più punti, come usano i ballerini, per facilitare i movimenti».

Con alcuni registi, Ridley Scott, Adrian Lyne, David Fincher, Michael Kaplan ha trovato l’intesa perfetta, ma, non è sempre così: «Non mi piacciono quelli che mi danno carta bianca dicendo che loro di vestiti non ne capiscono niente, lo scambio di idee è necessario». Con gli attori, poi, è ancora più complicato: «Le difficoltà maggiori nascono quando gli abiti sono contemporanei, allora ognuno pensa di poter dire la sua perché, ovviamente, è abituato a vestirsi ogni giorno. Ma il punto, quando si fa un film, è pensare a quello che va bene per il personaggio, non per l’attore». Alcuni chiedono consigli fin dall’inizio, come Helena Bonham Carter che, sul personaggio di Marla Singer in Fight club , non aveva idee chiarissime: «Le ho detto che doveva bere e fumare molto, che poteva rifarsi un po’ a Judy Garland, Fincher la voleva così, ci è riuscita talmente bene che sul set, per tutto il tempo, continuava a chiamarla Judy». Anche con Brad Pitt le cose funzionarono a meraviglia: «E’ un collaboratore fantastico, sa sempre molto bene cosa serve al suo personaggio». Certe volte, difficile crederlo, anche Kaplan va in crisi: «Quando J.J. Abrams mi ha chiesto di fare Star Trek , ero terrorizzato, pensavo di non essere in grado, quel telefilm ha eserciti di fan sparsi nel mondo, con immagini ben precise stampate in testa. Ci siamo incontrati, e lui mi ha spiegato che il punto era proprio questo, non voleva che il film fosse un seguito della serie tv. Adesso sto lavorando al secondo capitolo». Se gli si chiede qual è l’epoca storica per cui preferisce disegnare, Kaplan riflette: «Se hai a che fare con il passato devi essere oggettivo, se si tratta di futuro puoi creare, ma se parliamo di oggi devo veramente re-inventare». Quando pensa alla storia del cinema e ai costumi che preferisce, cita Il gattopardo e mister Tirelli, poi sorride, temendo di apparire immodesto: «Allora, il vestito nero di Holly Hunter in Lezioni di piano , i costumi del Casanova di Fellini e...beh, sì, gli abiti di Rachel in Bladerunner ».