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 2011  giugno 18 Sabato calendario

Il referendum sull´acqua non riguardava solo una legge. Il suo significato politico è stato ben sintetizzato da Michele Serra: «sarebbe bello poter sottrarre almeno qualche ambito della vita collettiva e dei bisogni sociali alla legge del profitto», per rilanciare e rinnovare «quel concetto di servizio pubblico che, se ha il dovere di non scialare risorse, ha anche la libertà di non essere costretto a lucrare sulle proprie funzioni»

Il referendum sull´acqua non riguardava solo una legge. Il suo significato politico è stato ben sintetizzato da Michele Serra: «sarebbe bello poter sottrarre almeno qualche ambito della vita collettiva e dei bisogni sociali alla legge del profitto», per rilanciare e rinnovare «quel concetto di servizio pubblico che, se ha il dovere di non scialare risorse, ha anche la libertà di non essere costretto a lucrare sulle proprie funzioni». Affermazioni giuste e condivisibili. Ma la questione resta. L´acqua è solo un caso emblematico del problema più generale di come, da chi e con quali risorse debbano essere erogati i servizi di pubblica utilità. Vale anche per fognature, luce, gas, strade, porti, rifiuti, aeroporti, trasporti pubblici, comunicazione (posta, telefono, internet), spiagge e coste, e pure aria (inquinamento, televisione pubblica, wifi). In Italia si è deciso caso per caso, a seconda di contingenze e convenienze del momento: pubblico, privato, società private con soci pubblici, e viceversa; a volte i servizi sono regolamentati - da autorità indipendenti, entità governative o enti locali - a volte no. Con tariffe, prezzi politici, o limiti alla remunerazione del capitale. Abbiamo monopoli pubblici e privati, concessioni con e senza gara. È mancata una visione progettuale. Sarebbe la "grande riforma" di cui si parla da vent´anni. Una soluzione ottimale non c´è. Paesi diversi hanno adottato soluzioni diverse, con risultati diversi. Acqua e fognature gestite dai privati è un modello europeo, ma il 90% degli americani sono serviti da enti pubblici locali. I maggiori aeroporti americani (New York e Chicago) sono pubblici, come pure le poste; in Europa li stiamo privatizzando e quotando. In Italia abbiamo costruito la rete stradale principale con il sistema dei pedaggi, gestito da privati: Francia e Spagna ci hanno imitato; gli Stati Uniti oggi guardano con interesse al nostro modello; ma in Gran Bretagna, nonostante la Thatcher, le grandi strade rimangono pubbliche e finanziate dalla fiscalità generale. L´ideologia, quindi, conta poco. Tuttavia, ci sono alcuni principi di validità generale. Anche per l´Italia, anche per l´acqua. Qualsiasi servizio di pubblica utilità può essere fornito in modo efficiente dal pubblico, con la gestione e gli investimenti finanziati dalle imposte generali: sanità e scuola sono due esempi. Ma nei paesi avanzati la spinta a un welfare (pensioni, scuola, sanità, lavoro, eccetera) sempre più esteso per funzioni, prestazioni e fruitori ha portato la pressione fiscale a livelli non ulteriormente espandibili; e sono venute meno così le risorse per gli investimenti nei servizi pubblici. Da qui la necessità di finanziarli con tariffe in grado di attirare i capitali necessari. È questa, e non il pregiudizio "privato = buona gestione", la principale ragione della tendenza a "far pagare i servizi", regolamentarli e cederne la gestione ai privati. A questo bisogna aggiungere che le tariffe riducono l´incentivo allo spreco da parte dei cittadini utenti (se il costo grava sulle tasse di tutti, facile abusarne). Tariffe remunerative sono dunque il male minore. Ma chi le stabilisce? Meglio un´Autorità indipendente da governo ed enti locali, meno manipolabile di ministri e pubblici amministratori dalle lobby. E se dotata di regole e procedure trasparenti, facilita il controllo dell´opinione pubblica sugli abusi. E il gestore: pubblico o privato? In teoria, un monopolio privato, se ben regolamentato, è preferibile a uno pubblico. Perché l´ente pubblico può erodere le rendite ai privati mettendoli in concorrenza per l´assegnazione della gestione con gare aperte e ripetute nel tempo; trasparenti, per ridurre i rischi di favoritismi e corruzione; e mantenendo il controllo della qualità del servizio e del piano degli investimenti. Non è un sistema perfetto, ma è quello che sembrerebbe funzionare meglio. Anche per l´acqua italiana. A suo tempo ho criticato la legge sull´acqua. Non per ideologia, ma perché violava tutti questi principi: dava agli enti locali poteri sulle tariffe (niente Autorità); e ammetteva società miste, aperte a privati, che servivano solo a spartirsi un monopolio auto-regolamentato. Non è dunque una legge di cui sentiremo la mancanza. A patto che l´acqua sia il pretesto per proporre una riforma complessiva dei servizi pubblici.