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 2011  giugno 18 Sabato calendario

«L’han giurato. Gli ho visti in Pontida /Convenuti dal monte, dal piano. /L’han giurato; e si strinser la mano /Cittadini di venti città

«L’han giurato. Gli ho visti in Pontida /Convenuti dal monte, dal piano. /L’han giurato; e si strinser la mano /Cittadini di venti città. /Oh, spettacol di gioia! I Lombardi /Son concordi, serrati a una Lega. /Lo straniero al pennon ch’ella spiega /Col suo sangue la tinta darà» . È questo l’attacco della seconda delle Fantasie pubblicate a Parigi nel 1829 da Giovanni Berchet, il primo dei letterati risorgimentali ad attribuire un significato nazionale alla lotta dei comuni lombardi contro l’imperatore Federico Barbarossa culminata nella battaglia di Legnano del 1176 e nella pace di Costanza del 1183; dopo che già lo storico ginevrino Sismondi, autore della monumentale Storia delle repubbliche italiane nel medioevo, l’aveva interpretata come una vittoria dello spirito di libertà e di democrazia contro l’oppressione tirannica. Del giuramento che sarebbe stato pronunciato nell’Abbazia di Pontida dai delegati «di venti città» il 7 aprile 1167, peraltro, non vi è traccia nei documenti e nelle cronache del tempo: assieme alla Compagnia della Morte e al suo immaginario condottiero Alberto da Giussano (celebrato tra gli altri dal Carducci nella Canzone di Legnano), l’episodio fu inventato o tramandato da cronisti molto più tardi, come Galvano Fiamma e Bernardino Corio, e poi ripreso dagli eruditi settecenteschi, principalmente Giorgio Giulini; finché insieme «ai Vespri Siciliani e alla disfida di Barletta, divenne parte del "codice retorico Nazionale"elaborato dalla letteratura e dalla storiografia romantiche... per dimostrare che gli abitanti della penisola non erano imbelli, ma potevano e sapevano battersi» (Paolo Grillo, Legnano 1176. Una battaglia per la libertà, Laterza, Roma-Bari, 2010, p. 193). La leggenda del giuramento di Pontida esprime in realtà la drammatizzazione, anche sul piano iconografico, di una serie di accordi e di patti d’alleanza, favoriti dal papa Alessandro III e rivolti non già a negare l’autorità imperiale, ma a difendere quegli spazi di autonomia che le successive discese in Italia del Barbarossa e le conclusioni della dieta di Roncaglia del 1158 avevano messo in pericolo. Si trattò di un processo graduale e contrastato. Va sottolineato che alla distruzione di Milano ordinata nel 1162 da Federico, dopo un assedio durato un intero anno, collaborarono con entusiasmo cremonesi, pavesi, lodigiani, comaschi, novaresi. Solo successivamente alcune di queste città entrarono nella coalizione antimperiale, promossa inizialmente dalle maggiori città venete, ma Pavia e Como ne fecero parte solo per un breve periodo, e al tempo della battaglia di Legnano presero le parti del sovrano tedesco. Sulla centralità di questa «invenzione della tradizione» nella genesi del processo risorgimentale, in particolare nello spingere tanti giovani a lottare e se necessario a sacrificare la vita per l’indipendenza e l’unità della patria italiana, non è il caso di insistere dopo il rilievo ad essa attribuito da molta storiografia recente, il cui rappresentante più noto è Alberto Mario Banti. Semmai merita osservare, una volta di più, come una mitografia elaborata ai fini della costruzione dello Stato nazionale sia stata in questi ultimi decenni rispolverata e utilizzata per scopi tutt’affatto diversi dal movimento leghista.